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Jeanne Dielman, 23 Quai du Commerce, 1080 Bruxelles

Regia di Chantal Akerman vedi scheda film

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La recensione su Jeanne Dielman, 23 Quai du Commerce, 1080 Bruxelles

di Peppe Comune
9 stelle

Jeanne Dielman (Delphine Seyrig) è una casalinga che si prende cura delle faccende domestiche con scrupolosa meticolosità. Nelle circa tre ore e mezza di film, si raccontano tre giorni della sua vita fissando l'attenzione sulla monotona ripetitività delle sue azioni : mentre prepara la colazione mattutina, mentre fa le pulizie di casa, mentre cucina, mentre lava i piatti, mentre è seduta a pensare chissà cosa, mentre esce a fare delle compere, mentre fa da baby-sitter ad una bambina, mentre riceve uomini in casa, mentre aspetta il figlio Sylvain (JanDecorte) tornare la sera dal lavoro, mentre cena con lui scambiandosi poche parole, mentre prepara il letto, mentre si mette sotto le coperte. Quando si spegne la luce e poi inizia un altro giorno, sempre uguale a quello appena trascorso. 

 

Jeanne Dielman: come vedere il "miglior film di tutti i tempi" secondo  Sight and Sound? - Sortiraparis.com

"Jeanne Dielman" - Delphine Seyrig

 

Se è vero che “Jeanne Dielman è unanimemente considerato un grande film, sarà altrettanto vero che è uno di quelli più suscettibili di far emergere il potenziale comunicativo dell’arte cinematografica attingendo in massima parte alla sola composizione dell'immagine. Se è vero che il cinema è un'arte che sviluppa la sua essenza attraverso la successione di immagini in movimento, allora diventa altrettanto vero che con questo capolavoro Chantal Akerman ha fatto della somma algebrica di ogni singola inquadratura l'accumulazione di tanta materia emotiva pronta ad implodere in qualsiasi fotogramma.

Questo è appunto "Jeanne Dielman" (che per esteso è Jeanne Dielman, 23 Quai du Commerce, 1080 Bruxelles”), un film che nelle sue tre ore e mezza di durata si presta a diverse chiavi di lettura pur rimanendo sempre nello stesso canovaccio linguistico. E credo che il motivo principale per cui sia considerato un capolavoro che resiste abbastanza bene all'usura del tempo risiede appunto nel fatto che, attraverso la presenza di diversi spunti interpretativi, si giunge alla stessa riflessione sulla condizione della donna all'interno di un mondo che sembra volerla prigioniera silente nonostante la rappresentata evidenza della sua totale libertà di azione. 

In primo luogo, il film ha gli attributi sufficienti per configurarsi come un documentario sulla vita di una casalinga qualsiasi. Di fronte mentre rammenda, di spalle mentre lava i piatti, di profilo mentre cucina, di lato quando dorme, a figura intera mentre prepara la tavola, a mezzo busto quando mangia. Campi medi (soprattutto nelle poche sortite in esterni) e piani medi sono le inquadrature maggiormente utilizzate dalla regia, quelle che meglio servono descrivere rimanendo equidistanti e a far risaltare la totalizzante centralità della donna ripresa nelle sue routinanti incompetenze ordinarie. Come se da esse non si possa in alcun modo prescindere perchè si configurano come l'unico scopo che tiene viva l'esistenza. Incombenze che la macchina da presa si prende cura di registrare con salomonica descrittività. Cosa vuole filmare Chantal Akerman ? Il valore necessario acquisito da ogni singolo oggetto o il tempo sottoposto a libertà vigilata perché contratto nella limitatezza degli spazi ? Entrambe le cose probabilmente, come altro del resto. Quello che è certo è che l’affetto alienante prodotto da gesti ripetuti sempre uguali ha occupato ben oltre il limite consentito il ciclo di vita di Jeanne, fino a renderla un prototipo documentabile è attendibile della condizione esistenziale di qualsiasi donna. 

In secondo luogo, il lavoro alla regia della Akerman sembra indirizzato da una volontaria riflessione sul guardare. Il fatto che tutto il film si svolga all'interno delle mura domestiche, con poche escursioni esterne, porta l'occhio ad abituarsi alle forme della casa e degli oggetti che la popolano e ad aspettarsi sempre le stesse azioni. Lo spazio circostante rende il tempo dell'attesa un alleato utile per sollecitare la propensione voyeuristica dell'essere umano. In ogni momento del film, l’occhio è orientato a sapere già quello che accadrà poi, il fuoricampo è sempre sottinteso da ciò che sta in campo. Ad esempio, quando suona il campanello della porta ad un certo punto della giornata (dopo pranzo), già sappiamo che Jeanne andrà ad aprire, che entrerà un uomo e che insieme entreranno nella camera da letto dove la porta si chiuderà alle loro spalle. Ma tutta questa certosina ripetitività non impedisce mai all'occhio, non solo di guardare con partecipato coinvolgimento il ripetuto susseguirsi degli eventi, ma anche di aspettarsi sviluppi diversi da quelli attesi. Perché, se è vero che le faccende di casa sono sempre le stesse, è altrettanto vero che dei cambiamenti impercettibili possono cogliersi nell’umore di Jeanne, dettagli minuscoli che suggeriscono che qualcosa dentro di lei potrebbe scoppiare all'improvviso.   

Infine, proprio in ragione di quanto già messo in evidenza, “Jeanne Dielman” si presta ad essere un potente manifesto femminista. Cosa pensa Jeanne nella sua quasi completa solitudine ? Dove proietta la sua mente mentre fissa lo sguardo nel vuoto ? Cos’è successo nella sua vita ad aver reso il suo presente così avaro di emozioni ? Di lei capiamo che è una donna meticolosa e che ci tiene particolarmente al buon andamento delle solite faccende domestiche. Poi sappiamo che è vedova e che ha un figlio che ogni sera ritorna sempre alla stessa ora dal lavoro. Infine, intuiamo che ha bisogno di soldi perché di mattina fa la baby-sitter alla bambina di una vicina e il pomeriggio riceve uomini in casa (sempre gli stessi e sempre in giorni della settimana prestabiliti) per offrire prestazioni sessuali. Ecco, credo che non ci sia modo più potente è più chiaro nel denunciare la condizione di sottomissione sociale della donna che quello di mostrarla in preda alla sua "schiavizzante" apatia nel mentre la si rende unica e assoluta padrona della scena. Il troppo rappresentato dalla sua presenza onnicomprensiva e controbilanciato dal vuoto certificato dall'incapacità-impossibilità di cambiare coordinate alla piena disponibilità del suo spazio e del suo tempo.  

E così si chiude il cerchio, perché a mio avviso il punto forte del film non sta in ciò che dice e fa di particolarmente interessante Jeanne, ma nel suo semplice esserci e nella maniera con cui occupa lo spazio e impiega il tempo. E la cosa che rende straordinario “Jeanne Dielman” è che Chantal Akerman lo ha reso partecipe della meticolosa pedanteria della sua protagonista sottraendo ogni accadimento alla spettacolare esclusività dell'eccezione. Fino al finale fragoroso, dove lo strappo drammatico e improvviso insieme danno al già visto la facoltà di potersi ripresentare alla mente dello spettatore sotto una luce più chiara. Grande cinema. 

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