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La sposa promessa

Regia di Rama Burshtein, Yigal Bursztyn vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La sposa promessa

di Kurtisonic
8 stelle

Nel corso dello stesso anno, il 2012, per una singolarità del caso, all’esordiente regista araba Haifaa al Mansour, autrice di La bicicletta verde, si affianca un’altra donna al suo primo lavoro dietro la mdp proveniente dalla parte “avversa” cioè da chi sta dall’altra parte del muro, l’israeliana Rama Burshtein con La sposa promessa. Entrambe conseguono il doppio merito di segnalare ancora come il cinema possa rivelarsi come strumento di conoscenza di realtà distanti dalla nostra percezione, di affermarne ancora oggi la sua immediata corrispondenza culturale, e di contribuire in comune ad altri registi alla formazione di uno sguardo al femminile che nell’insieme costituisce un punto di svolta possibile all’interno di società diverse ma tutte contaminate  da una modernità che ne ha globalizzato le debolezze e le contraddizioni. Il film di R.Burshtein inoltre acquista ulteriore spessore sfidando la rappresentazione ideologica poiché descrive dall’interno il mondo degli ebrei ortodossi al quale lei appartiene convintamente, tentando  a più livelli di scardinare le resistenze e i facili pregiudizi di chi quel mondo non lo conosce per niente. Lo scopo dunque è quello di colmare quel vuoto (dal titolo originale Lemale et ha’Chalal tradotto in  Fill the void, riempi il vuoto)che prima di tutto documenta quella realtà riuscendoci molto bene. Una società rigidamente bloccata e organizzata nel rispetto dei ruoli, della religione, delle tradizioni, dove il singolo componente (anche maschile) non ha uno spazio individuale proprio, ma che deve costantemente rapportarsi con le sovrastrutture sociali, il rabbino, la famiglia, gli anziani, le ritualità. La giovane Shira sta per fidanzarsi ufficialmente, ma alla morte della sorella maggiore che riesce a dare alla luce un figlio, viene chiamata dalla sua famiglia a sostituire la defunta, concedendosi in sposa al vedovo Yohai. Dal punto di vista visivo la scelta e' radicale quanto la tematica del film, sullo sfondo fuori fuoco ma sempre presente, si stagliano i primi piani dei protagonisti, sempre illuminati da una luce piena, che ne sottolinea  l'individualità rispetto all'ambito sociale ma anche la solitudine che si patisce cercando di prenderne le distanze. Le decisioni che contano avverranno tutte fuori campo e non si conosceranno che gli sviluppi finali, tuttavia la regista è davvero brava a miscelare elementi di riflessione che non necessariamente convergono su quello che in apparenza sembra una pressione indebita operata su Shira e sulla sua volontà da parte della comunità e da sua madre in particolare. La scelta della ragazza sarà più meditata e ragionata in questo frangente che la obbliga a responsabilizzarsi mentre rinuncia di fatto al fidanzamento che apriva la vicenda, ugualmente combinato e imposto dagli interessi famigliari, sarà invitata a riflettere  sui suoi sentimenti, ad ascoltarsi e a fare i conti con l'ambito sociale in cui è stata educata. Una figura fondamentale sarà rappresentata dalla zia di Shira una donna nubile, gravemente menomata e dal pensiero schietto e autonomo. Se da un lato rappresenta una certa emancipazione dall'altra ne denuncia l'isolamento e la dipendenza verso la comunità ancora impreparata a cogliere istanze staccate dall'interesse comune. Il gran finale ad effetto riunisce le due figure di Shira e di Yohai, e nonostante la sua ambiguità interpretativa mette di fronte i  due giovani volti intrappolati o liberati dai vincoli del gruppo sociale e ad un capitolo del tutto nuovo  della loro vita.  

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