Regia di Gracia Querejeta vedi scheda film
Un piccolo racconto di formazione. Una comune storiella familiare. Una trama sottile come una ragnatela, forse fatta apposta per mettere in risalto la potente interpretazione della protagonista femminile. L’impasto ha il gusto discreto, si potrebbe dire modernamente casereccio, delle merendine industriali che si piccano di avere gli odori della tradizione, mentre si presentano fasciate in involucri di plastica stampata in serie. Jon, il ragazzino terribile che scopre i pericoli ed i valori della vita dopo essere stato sospeso per tre mesi dalla scuola, è la figura un po’ stereotipata della giovane anima redenta, nella cui avventura i moralismi sentimentali da libro Cuore si innestano sulle acerbe stucchevolezze da fiction adolescenziale. Un’ordinaria vicenda di amore, amicizia e coltelli rafforza il proprio sapore ottocentesco mescolandosi alla malinconia dei sogni d’arte (di una madre attrice frustrata e di un anonimo pianista in erba), e ad un realismo sociale in salsa rosa (con una sciampista che si rammarica di non essere riuscita negli studi e di avere le mani rovinate dai lavaggi, ed una poliziotta dall’aria sussiegosa e assorta, fiera di saper conciliare piglio professionale e femminilità). La Spagna invia agli Academy Awards una sospirante e variopinta commediola, scritta e diretta da Gracia Quereta, regista di documentari e serial televisivi, che nel suo film ripropone la tipica struttura ad episodi, legati da un filo logico al limite dell’inconsistenza, e di per sé poco godibili e significativi. Un maldestro tentativo di variare il registro narrativo – dalla logora gag della sitcom alla rivelazione “scandalosa” da soap opera - non basta a compensare la sistematica mancanza di originalità. Insieme alle idee latita la capacità di sviluppare un discorso organico, che punti in una direzione precisa, verso la formulazione di una morale credibile oppure, al contrario, verso l’assenza di conclusioni, in un finale aperto su qualche interrogativo senza risposta. Non basta ribadire che l’importante è volersi bene e perdonarsi reciprocamente, perché tutti sbagliamo e gli errori fanno sempre tanto male. Quel tono amaro che si finge dolce e salato – ossia romantico e riflessivo – è un instabile languore che stanca, a furia di trascinarsi in qua e in là, senza, purtroppo, mai regalarci la benché minima emozione. Questo 15 años y un día si riveste di una patina splendente di popolare convenzionalità, di buonismo rispettosamente stemperato dal rimorso e dal fallimento, per darsi una qualche nobiltà di forma, ma la sua immagine resta infinitamente lontana dalla dignità dell’arte. Sullo schermo compare niente più che un abbaglio, prolungato e intenso, ma passeggero. Una promessa non mantenuta, e per di più formulata in maniera poco convincente. Una scoppiettante ripetizione del noto; un ricordo rimontato con vivacità, però senza fantasia, e pronto per ricadere immediatamente nell’oblio.
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