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Berberian Sound Studio

Regia di Peter Strickland vedi scheda film

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La recensione su Berberian Sound Studio

di maurizio73
7 stelle

Tecnico del suono di talento ma timido e spaesato, Gilderoy si trasferisce in Italia dall'inghilterra,dove vive da solo con la madre, per contribuire alla post-produzione di un misterioso e controverso horror d'autore diretto dal sedicente regista italiano Santini. Ad accoglierlo è però lo sbrigativo e rude direttore di produzione Francesco ed una stralunata troupe di attrezzisti e doppiatori che si industriano tra le ristrettezze del budget ed i contrasti personali. Costretto a vivevere da recluso nell'angusto camerino adiacente alla sala di registrazione e turbato da un ambiente lavorativo latamente ostile e conflittuale, Gilderoy inizia a sviluppare strane fantasie dissociative e allucinatorie legate all'argomento stregonesco ed al suo vero ruolo nella produzione del film.
Dopo un esordio auto-prodotto e premiato a Berlino per il miglior contributo artistico su di un soggetto difficile ed originale come una oscura storia di violenza e vendetta in quel dei Carpazi (Katalin Varga - 2009), il giovane e promettente Peter Strickland si ripete in una più consueta, ma non meno sorprendente, produzione di genere che se da un lato omaggia apertamente la sapienza artigianale del cinema horror italiano degli anni '70 e '80 dall'altro tenta un suggestivo discorso sui meccanismi auto-referenziali della settima arte, una sorta di piccolo saggio sulle alchimie di un dietro le quinte che contribuisce ad alimentare le strane leggende che circolano attorno ad un'opera cinematografica.
Non ostante la tentazione ed il rischio di un insistito compiacimento nell'esibizione di un virtuosismo registico che riesce a moltiplicare le oscure suggestioni di un thriller psicologico giocato nella claustrofobica ambientazione di una sala di incisione, Strickland stempera il climax di morbosa inquietudine che avvolge la storia con la strisciante ironia di una messa alla berlina dei meccanismi del genere puntando da un lato sulle svagate relazioni tra personaggi al limite del grottesco e dall'altro sul raffinato gusto cinefilo per un cinema 'eroico' in grado di restituire la giusta credibilità artistica all'inverosimiglianza di un soggetto fantastico (quel cinema 'de paura' che rese celebre Argento e la sua 'quasi' trilogia stregonesca: Suspiria 1977 e Inferno 1980) facilmente derubricato a cinema spazzatura ('Sempre che questa squallida porcheria possa essere chiamata film' dice una delle doppiatrici 'castigata' prima dal regista e poi dal direttore di produzione) grazie al sapiente lavoro dei maghi di una post produzione,tanto geniale quanto artigianale, realizzata facendo friggere olio in padella o massacrando una verza con un coltellaccio da cucina. Cinema nel cinema, quello del regista britannico è comunque un film che (anche a livello di scrittura) non rinuncia alla sua vocazione narrativa insinuando il sospetto di una sottotrama fantastica e recuperando un repertorio di suoni ed immagini in grado di scatenare nel protagonista (un misurato e straordinato Toby Jones) un allucinato delirio dissociativo sospeso tra realtà ed onirismo che sembra fare la spola tra le 'Strade perdute' di David Lynch e le 'Cigarette burns' di John Carpenter. Apprezzamenti nei festival cinematografici nazionali ed internazionali e, per quanto ci riguarda, buona la seconda.

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