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The Summit - I tre giorni della vergogna

Regia di Franco Fracassi, Massimo Lauria vedi scheda film

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La recensione su The Summit - I tre giorni della vergogna

di nickoftime
8 stelle

 "La più grave sospensione dei diritti democratici dopo la seconda guerra mondiale"
(Amnesty International)

Una sconfitta per tutti, e insieme la voglia di non abbassare la guardia, sul G8 di Genova e sulle cause del suo mattatoio. La frase di Amnesty International pesa come un macigno sulle colpe del governo italiano, e sui responsabili della gestione di quegli avvenimenti. In attesa di una risposta convincente da parte delle istituzioni, il cinema italiano continua a picchiare duro sul corpo del reato. E così, dopo "Carlo Giuliani, ragazzo" (2002), "Black Block" (2011) e "Diaz" (2012) arriva questo "The Summit" presentato con successo alla berlinale del 2012, e successivamente esportato nei festival di mezzo mondo. Partendo dal racconto dei fatti ricostruiti dalle immagini desunte dalla cronaca, ed attraverso le interviste di chi ne fu coinvolto, l'inchiesta dei giornalisti Franco Fracassi e Massimo Lauria si divide in due parti. Nella prima si preoccupa di mettere ordine al caos, procedendo in maniera filologica ad allineare avvenimenti scanditi nel tempo in maniera cronologica, con le lancette dell'orologio ad inseguire i nomi e le funzioni degli attori principali. Una carta d'identità compilata in maniera analitica, lasciando parlare i fatti, e sospendendo il giudizio di fronte a quello scempio. In un'alternanza che non concede pause si alternano i cortei dei manifestanti, il teppismo dei Black Block e le cariche delle forze dell'ordine determinate a disperdere nel sangue e negli arresti, gli ideali di una folla venuta a celebrare i diritti e la dignità di tutti gli uomini. Nella seconda invece, entra in campo la requisitoria che parla di responsabilità ed inquadra i contenuti all'interno di una dimensione politica non solo italiana ma mondiale, nata dalla necessità delle democrazie occidentali di destabilizzare il movimento di globalizzazione alternativa nata a seguito del World Social Forum di Porto Alegre (25/30 gennaio 2001) che si opponeva allo sfruttamento dei paesi "cosiddetti poveri". Per farlo Fracassi e Lauria ricominciano daccapo, ritornando sui singoli episodi - la scuola Diaz, la caserma di Bolzaneto, Piazza Alimonda - decostruiti e messi a confronto con i retroscena di una cospirazione ("In Italia Berlusconi aveva paura della piazza" afferma uno degli intervistati) che aveva fatto le prove generali negli analoghi eventi politici organizzati prima a Napoli, con gli episodi di tortura operati all'interno della caserma Manero, e poi a Goteborg, in Svezia, dove si sfiorò un episodio simile a quello che vide la morte di Carlo Giuliani. Nella ricostruzione circostanziata e montata alla maniera del "JFK" (1991) di Oliver Stone, corroborata dalla partecipazione di personaggi noti e meno noti come Vittorio Agnoletto, responsabile del social forum italiano, di giornalisti indipendenti e di politici (di rifondazione comunista), di funzionari della polizia e uomini di stato come l'ex generale Fabio Mini, già Comandante della NATO per il sud Europa, convinto che il piano delle autorità presenti in loco non fosse quello di disperdere la folla ma piuttosto di impartirgli una lezione, prende forma la teoria di un complotto organizzato a freddo per trasformare la manifestazione in un esempio da non seguire. Una strategia della paura e della tensione, congegnata con la collaborazione dell'intelligence americana che fornisce addirittura materiali e tutor venuti apposta dall'America per istruire il braccio armato della legge. Carabinieri e poliziotti in assetto antiguerriglia diventano così gli artefici di una caccia all'uomo, in cui le occasioni dello scontro sono create ad arte per scoraggiare ulteriori tentativi. Tutto fa gioco, dai corpi martoriati ed esposti all'obiettivo delle telecamere, all'uccisione di Carlo Giuliani, volutamente sacrificato per mandare un messaggio definitivo alla protesta organizzata. Ipotesi agghiaccianti - ad un certo punto si parla anche di uno speciale manganello con un'appendice d'acciaio importato dall'america ed usato durante il G8 per aumentare il livello di afflizione, ma anche di gas lacrimogeni ad alto tasso cancerogeno - che parlano di una catena di comando e controllo deficitaria e incapace di gestire quanto stava accadendo sul campo di battaglia, che fanno il paio con testimonianze surreali, come quella dello sbarco di polizia e finanza sulla spiaggia di Genova per dare la caccia a chi nel disordine generale aveva trovato momentaneo rifugio tra i bagnanti. Accanto a questo, i dubbi sull'azione dei black block (tra di loro ci sarebbero stati infiltrati provenienti dagli organi dello stato) lasciati liberi di agire per fare da apripista alla rappresaglia delle forze dell'ordine che infierirono solo sugli innocenti, lasciando impuniti ed incolumi gli agitatori. E poi ancora donne sanguinanti con bambini in braccio, e le parole di scherno (riferendosi alla morte di Giuliani una poliziotta alla radio dice: "Oggi è finita uno a zero per noi") dei funzionari intercettati al telefono mentre cadono dalle nuvole o non sanno cosa fare. Si vorrebbe fare a meno di sentire e di guardare. C'è sgomento, ma anche indignazione. Nell'esposizione dei fatti, "The Summit" ricorda il documentario di Moore sull'11 settembre. Allo stesso modo di "Fahreneit 9/11" (2004), "The Summit" fa risuonare il silenzio di chi dovrebbe fornire le risposte. La mancanza della controparte, però, non toglie nulla al film di Fracassi e Lauria, che anzi rilancia la necessità di un cinema civile che sia capace di indignare, e di porre domande scomode. Da non perdere.
(pubblicata su ondacinema.it)

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