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Lincoln

Regia di Steven Spielberg vedi scheda film

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La recensione su Lincoln

di sasso67
8 stelle

Ogni film storico non nasce per caso in un dato momento e viene realizzato in un determinato modo proprio in quanto concepito e poi girato in quel momento: come si suol dire, è figlio del proprio tempo. Lincoln, uscito nel 2012, non fa eccezione e secondo me (e sottolineo secondo me) è un film "obamiano", nel senso che parla di un padre della patria americana come Abraham Lincoln, ma non disdegna di riferirsi al presente. Ho visto in rete dei filmati nei quali Steven Spielberg presenta un video nel quale Daniel Day-Lewis interpreta il presidente Obama, mentre in realtà è lo stesso Obama che interpreta l'attore che lo impersona. Non so, comunque, che cosa pensi Spielberg di Obama, ma, qualsiasi opinione ne abbia, credo che con questo film abbia voluto dare un'interpretazione del ruolo del presidente, oltre che dell'arte (se così ancora si può chiamare) della politica.
Abraham Lincoln, infatti, è si quel volto scolpito nella roccia del Monte Rushmore, che rappresenta alcune delle figure fondamentali della storia degli USA, ma è anche stato un ottimo avvocato, un padre di famiglia, un marito e, soprattutto, un grande ed abilissimo uomo politico. La sua grandezza, sembra dire Spielberg, consiste nell'aver saputo coniugare una grande idealità etica (la schiavitù dei neri è un abominio morale e basta) con l'abilità politica di far prevalere questa Idea attraverso i metodi messi a disposizione dalla politica stessa. Questi metodi non erano forse tutti altrettanto "etici", ma non fa niente, quando in gioco c'è un principio che, con terminologia neocattolica, si potrebbe definire "non negoziabile". Sappiamo che la Guerra Civile Americana non fu combattuta soltanto per ragioni etiche, ma che alla sua origine vi erano anche motivazioni economiche, ma è indubitabile che quella fu essenzialmente una guerra che, come scrive Maldwyn A. Jones, «scaturì da un insanabile contrasto di ideologie, divenendo quindi un conflitto con obiettivi illimitati»; non si trattava, infatti, di una controversia territoriale, sulla quale trattare o per la quale sarebbe stato sufficiente occupare con la forza questo o quell'obiettivo strategico: come ripete Jones, «non era possibile trovare una soluzione di compromesso per risolvere la contesa: sia l'Unione sia la Confederazione sarebbero state soddisfatte solo con una vittoria senza ombre». Di questa opinione era indubbiamente anche Abraham Lincoln, che vediamo qui nel film muoversi tra coloro che volevano l'abolizione della schiavitù subito e senza compromessi, tra quelli che preferivano trattare con i Sudisti ed altri che volevano l'abolizione dopo la fine della guerra. Per di più, l'Abraham Lincoln uomo deve fronteggiare i diversi atteggiamenti nei confronti della guerra che agitano la sua stessa famiglia.
Spielberg non mette in bocca al 16° Presidente USA frasi storiche o parole roboanti né gli attribuisce virtù strategiche nella conduzione della guerra o atteggiamenti umanitari nella necessità di far cessare l'ennesimo inutile massacro. Anzi, Abraham Lincoln è spesso in atteggiamenti poco marziali, sempre ingobbito sotto il peso delle responsabilità politiche, oltre che per l'altissima statura, quasi andreottiano (absit iniuria verbis) nel modo lobbistico -se non peggio - di condurre le azioni politiche: trovare i voti necessari all'approvazione del XIII Emendamento offrendo ai deputati soldi, posti di sottogoverno e nell'amministrazione pubblica. Questa, dice il regista, è la politica, prendere o lasciare: anche per quelle che sono unanimemente riconosciute come le anime belle della Storia.
E lo stile di Spielberg è, per una volta, poco retorico, se Dio vuole, perché la materia poteva indurre ad abbondare con l'enfasi. L'unica scena che avrei eliminato e che un po' puzza di retorica è quella in cui, dopo un litigio nel quale era stata perfino minacciata di essere rinchiusa in manicomio, la moglie del presidente incita il marito a portare a casa il risultato dell'abolizione della schiavitù. Ma anche grazie alla notevole interpretazione di Daniel Day-Lewis, il regista questa volta non indulge a proclami patriottardi che spesso (vedasi il finale di Salvate il soldato Ryan) avevano fatto deragliare i suoi film. Che si ferma laddove potrebbe idealmente iniziare - fatte le dovute immense differenze ideologiche tra i due Autori - la Nascita di una nazione di D. W. Griffith. Tra i due film, potrebbe situarsi la considerazione di Maldwyn A. Jones (Storia degli Stati Uniti d'America, Bompiani, ed. 2000, p. 210), secondo la quale Abraham Lincoln «fece più d'ogni altro per salvaguardare l'Unione e la sua fine improvvisa fu davvero una tragedia nazionale».

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