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Odio implacabile

Regia di Edward Dmytryk vedi scheda film

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La recensione su Odio implacabile

di vermeverde
7 stelle

Odio implacabile (titolo originale Crossfire) è stato girato nel 1947 da Edward Dmytryck, poco prima di essere incriminato per “attività antiamericane” (alias comunismo) dalla Commissione presieduta dal senatore John Mc Carthy. 

Il soggetto del film è derivato da un racconto di Richard Brooks (poi regista egli stesso) sceneggiata da John Paxton e riguarda le indagini sull’omicidio di un uomo per il quale sono sospettati / coinvolti alcuni militari in congedo. L’aspetto formale è quello classico di un film “noir” (impianto visivo, tema poliziesco, caratterizzazione dei personaggi), tuttavia bisogna tener presente che all’epoca né chi lo ha girato né chi lo ha visto ne era consapevole perché la categoria del noir (più uno stile che un genere) è stata creata dalla critica diversi anni dopo: in realtà sull’impianto poliziesco della trama sono innestati temi di notevole rilevanza sociale che connotano il film come più di una semplice occasione di intrattenimento.

Un problema molto sentito in quegli anni era il rientro dei reduci rimpatriati dopo anni di assenza per la guerra: molti di questi provavano un senso di smarrimento, si sentivano estraniati perché non erano più inquadrati e comandati per combattere il nemico ma dovevano affrontare individualmente: le incertezze e le difficoltà della vita quotidiana e familiare, soprattutto, alle quali non erano più abituati. Tale situazione è esplicitata nelle parole che il signor Samuels (Sam Levene) rivolge al caporale Arthur Mitchell (George Cooper): “…Nessuno sa ciò che accadrà né ciò che deve fare. … Sappiamo combattere, ma non sappiamo più chi combattere. C’è come una tensione nell’aria. Siamo ancora intossicati dall’odio e dalla lotta. Uno finisce con l’odiare sé stesso.

Sono quindi esemplari le vicende dei commilitoni protagonisti, le cui reazioni sono dettate dalla propria indole personale, così qualcuno si dà al bere altri ritardano il rientro a casa (Mitchell e il sergente Keeley – Robert Mitchum), anche cercando fugaci compagnie femminili (Mitchell), altri ancora sfogano la loro inquietudine e il loro disagio con la violenza contro chi è diverso come Montgomery (Robert Ryan).

Quest’ultimo tema, il più rilevante, che nel soggetto originale era l’omosessualità, tabù per la censura di allora, qui diventa l’antisemitismo anche perché la questione ebraica molto attuale all’epoca (fra l’altro si stava per costituire lo Stato d’Israele), ma in realtà è un pretesto per stigmatizzare l’odio verso la diversità, comunque intesa, con le parole del capitano Finlay (Robert Young): “L’odio è sempre cieco. È sempre lo stesso” pronunciate alla fine del suo bel discorso e che esprimono la “morale” del film.

Esteticamente il film è pregevole per la regia la cui stringatezza e l’ambientazione per lo più notturna ed in interni oppressivi contribuiscono a dare un’atmosfera di realismo alle drammatiche vicende raccontate. Notevoli le interpretazioni di Robert Young, sagace poliziotto dotato di una dolente umanità, di Robert Ryan la cui espressività quasi allucinata esprime il disagio di un malessere interiore, di un Robert Mitchum agli inizi della carriera la cui compostezza cela il malessere interiore e la breve ma intensa apparizione di Gloria Grahame.

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