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Last Screening

Regia di Laurent Achard vedi scheda film

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Utente rimosso (touffe bleu)

Utente rimosso (touffe bleu)

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Last Screening

di Utente rimosso (touffe bleu)
6 stelle

Un cinema costretto alla chiusura, gli ultimi giorni per assistere alle proiezioni finali. Un giovane uomo che non ci lavora soltanto, ma che letteralmente ci vive: da uno dei magazzini sotterranei ha ricavato la sua tana, rifugio di un lupo che esce la notte per catturare le sue prede. Non è dato sapere allo spettatore con certezza se ci sia effettivamente un criterio che lo porta ad uccidere casualmente o a scegliere accuratamente le sue vittime; tuttavia, si tratta di sole donne che, nei suoi confronti, si approcciano con un certo “esibizionismo”, sfoggiando la propria sicumera, vivace parlantina o qualche talento (una cantante e una majorette tra le altre). Al contrario, è perfettamente chiaro il motivo che spinge il ragazzo a questi atti di violenza: com'è prevedibile, una sorta di trauma infantile, il suicidio teatrale della madre davanti ai suoi occhi, un'attrice immersa nel mondo dell'arte, del cinema, ossessionata dalla volontà di diventare una grande star alla pari di attrici celeberrime, un confronto de­leterio che la devasta interiormente. La madre porta con sé, nei meandri di questo oblio, il figlio, obbligandolo a recitare insieme a lei alcune parti all'interno di un appartamento in cui costruisce idealmente il proprio set. Il turbamento nel figlio per il suicidio della madre (unica figura ad occuparsi di lui) è tale da portarlo ad attivare alcuni meccanismi psicologici devianti, ossessivi e violenti allo scopo di onorare/venerare la memoria della madre in una sorta di reliquiario che costruisce per lei, una cappella mortuaria in cui l'elemento focale è proprio una fotografia in bianco e nero della madre incorniciata e illuminata da dietro, da cui un meccanismo produce un suono simile ad un affannoso respiro meccanico. La cornice della madre è circondata, su ogni lato, da foto di grandi star femminili del cinema cui è stato attaccato un orecchio umano di ogni vittima “sacrificata”(= la madre portava sempre degli orecchini e in una scena vediamo che ne perde uno), come se ogni ritratto fotografico si configurasse come una sorta di altare. Un covo inquietante in cui di volta in volta il protagonista aggiunge un nuovo orecchio ad una nuova foto, in maniera sempre identica, ripetitiva: un serial killer con un rito, una procedura che ha molte somiglianze con il culto e la devozione, che avviene sempre secondo le stesse modalità. Lo spettatore si accorge della contraddizione che si crea all'interno del protagonista: da un lato è un ragazzo gentile che lavora all'interno del cinema, cordiale con tutti i clienti, affabile, educato e disponibile; dall'altro lato, una volta selezionate le sue vittime, le uccide con un coltello o sgozzandole o pugnalandole senza alcuna pietà o risentimento in maniera rapida, per poi sottrargli l'orecchio con scrupolosa minuzia. Non sembra neanche provare piacere, come ogni serial killer, uccidendo quelle donne: lo fa perché lo deve fare, perché fa parte di un piano “più alto” con un fine ben preciso che si è stabilito e che deve portare a termine. Due sono gli eventi che mettono in crisi la sua pianificata esistenza: l'imminente chiusura del cinema, che il ragazzo si rifiuta di accettare, e l'incontro di una giovane attrice che evidentemente cattura l'immaginazione del giovane per il confronto/ricordo della madre. La situazione precipita nel momento in cui l'architetto che si doveva occupare della ristrutturazione del cinema per trasformarlo in un negozio entra al suo interno non ricevendo alcuna risposta e trova i magazzini nascosti: così viene soffocata e sotterrata dal ragazzo. La giovane attrice, non ricevendo più sue notizie dopo aver fatto l'amore con lui, si addentra nel cinema giungendo alla cappella realizzata dal ragazzo per la madre: lui, allo scopo di mantenere il suo segreto, tenta di ucciderla venendo a sua volta colpito (viene “profanata” l'immagine della madre con schizzi di sangue). Così si trascina morente sino alla sala in cui è proiettato il film francese contemplando quelle ultime scene che attraversano la sua vista. Molto interessante il tema riguardante il “cinema dentro il cinema stesso”, la riflessione sul rapporto tra l'uomo e l'opera d'arte, le conseguenze che possono derivare da un legame ossessivo e un continuo confronto con quest'ultima; tuttavia, si ha l'impressione che questi temi siano stati trattati superficialmente quando invece, dato il loro interesse, potevano essere approfonditi o trattati con un occhio di riguardo rispetto all'attenzione data invece all'attività di serial killer del ragazzo, che si rivela prevedibile e piatta, non creando all'interno della narrazione cinematografica alcuna suspense. Il film è stato visibilmente realizzato con un budget piuttosto basso e nonostante tutto la regia – ma soprattutto la fotografia – sono di un buon livello.   

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