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Il rosso e il blu

Regia di Giuseppe Piccioni vedi scheda film

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La recensione su Il rosso e il blu

di OGM
8 stelle

La scuola. Un luogo silenzioso ed appartato, che vorrebbe lasciare fuori dalle sue mura i tumulti di un mondo che cambia. Un microcosmo autarchico che sopravvive aggrappato alle memorie del passato ed alle certezze scientifiche, confidando nel loro intramontabile valore. I suoi principi sono messi in ridicolo dalle nuove generazioni, che la vita comincia a sottoporre a pressioni infinitamente lontane dalle pagine della letteratura e dalle regole della grammatica. I dolori e i desideri non trovano risposta nei libri. Lo studio diventa così un onere inspiegabile, che si aggiunge alla grave inquietudine di fondo con cui gli adolescenti si affacciano all’età adulta. I loro professori vorrebbero strapparli a quella condizioni di crisi generale, mantenendoli ancorati alla bellezza delle cose che pensano di poter loro donare: il sapere e l’amore per la cultura, innanzitutto. Prezioso, il giovane supplente di italiano, ci crede ciecamente. Fiorito, il professore di storia dell’arte ormai prossimo alla pensione, con gli anni è caduto preda di un radicale scetticismo, quello che affligge chi sa di essere considerato pazzo, mentre si ritrova, suo malgrado, ad offrire perle ai porci. Alla sua rinuncia, globale e irreversibile, fa da contrappeso il rigore professionale della preside Ferrario, che antepone a tutto il rispetto della disciplina e dei limiti della missione affidata agli insegnanti. La pretesa di separare nettamente le competenze dell’istituzione pubblica dalle questioni private dei suoi frequentatori si rivela ben presto un’utopia: da una parte e dall’altra della cattedra si trovano comunque persone in carne e ossa, affette da sentimenti e debolezze, che non possono fare a meno di riversare, anche nelle ore trascorse nelle aule, i mali di un’anima sofferente per i paradossi di un’esistenza che chiede di tutto, ma niente è in grado di dare. Le nozioni scolastiche rimangono ferme, scolpite per sempre nei testi e nei programmi didattici, mentre, tutto intorno, il caos continua a regnare indisturbato, distribuendo a casaccio passioni, infatuazioni, fallimenti, solitudine, infelicità. Un groviglio inestricabile, di fronte al quale tutti si sentono inadeguati, smaniando, ciascuno a proprio modo, per liberarsi da quell’insopportabile tormento. C’è chi apre una finestra per poter respirare, chi la spalanca per buttarsi di sotto, le lezioni sono interrotte da gente che entra e esce, scombinando l’ordine prescritto con continue fughe e piccole invasioni. Inutile pretendere che ognuno rimanga al proprio posto. Un universo in trasformazione chiama tutti a partecipare al suo turbinio, che fa saltare le distinzioni tra i ruoli, insinua dubbi nei saggi, disgrega le famiglie, e all’occorrenza si fa beffe dell’esperienza, riportando indietro le lancette del tempo. Il film di Giuseppe Piccioni, basato su un soggetto dell’insegnante, scrittore ed editorialista Marco Lodoli, ripropone un tema già ampiamente sfruttato dalla recente cinematografia nostrana. A distinguere quest’opera dalle precedenti è però la sapiente fusione tra l’ironico realismo della commedia contemporanea e la filosofica poeticità che fa da commento alle situazioni più comuni, anche quelle che superano il confine del già visto per sforare nel campo degli stereotipi televisivi. La ripetizione c’è, ma è gradevolmente rivestita di un’ispirata e profonda riflessione su quel mal comune, mezzo gaudio che è la nostra incorreggibile mediocrità.

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