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Le miniere di Re Salomone

Regia di Compton Bennett, Andrew Marton vedi scheda film

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La recensione su Le miniere di Re Salomone

di cherubino
9 stelle

Uno dei bellissimi film d'avventura che si facevano negli anni '50 del secolo scorso, con l'impareggiabile Stewart Granger qui non spadaccino ma in Africa, con i Watussi, i paesaggi affascinanti, l'avventura. E Deborah Kerr. Da vedere o rivedere per ritornare a sognare, meglio con i propri ragazzi.

 LE MINIERE DI RE SALOMONE (1950)

 

Quando ero ragazzino, attorno ai dodici anni, erano due gli attori cui mi sarebbe piaciuto assomigliare: uno era Tony Curtis (quello dei primi film, con Piper Laurie, che trovavo simpatico, atletico e bellissimo e col quale avevo almeno qualcosa in comune: la capigliatura); l'altro, nella assai poco probabile eventualità che la mia statura aumentasse di almeno 25 centimetri, era Stewart Granger, anche lui simpatico ed atletico e soprattutto elegante ed affascinante, coi suoi capelli "blu" (l'unica cosa che poteva ricordarlo in me era forse il mio naso, che negli ultimi tempi si era allungato un tantino oltre i miei desideri).

Pensieri infantili, immaturi, sì, certo: nessun bambino, o ragazzo, dovrebbe avere cose più serie alle quali pensare. Almeno la prima parte della vita! Poi, John Lennon insegna (1).

 

I film che mi avevano conquistato erano stati due, entrambi di cappa e spada: "Scaramouche" e "Il prigioniero di Zenda".

A sessant'anni di distanza, nessuno più all'altezza di Granger (2), mentre - a lui anteriori - c'erano stati Douglas Fairbanks, cinema muto, poi Errol Flynn, validi rivali.

"Le miniere di re Salomone" lo sentivo decantare con entusiasmo dai miei amici, un po' più grandi, ma non apparteneva a quel filone e mi accontentai di vederlo alcuni anni dopo, quando arrivò al Saffi, la sala meno costosa della città (due film, 60 lire).

 

Questa, del 1950 (3), è la seconda versione cinematografica (la prima, del '37, non fu vista in Italia) del romanzo avventuroso - stesso titolo - con cui H. Rider Haggard nel 1885 aveva dato inizio ad una serie di opere inglesi ambientate in Africa e denominate "del mondo perduto", che ebbe successo nell'epoca vittoriana (4).

 

La regia è firmata da una inedita coppia (Compton Bennett ed Andrew Marton). Inglese il primo, il secondo ungherese naturalizzato statunitense, non sono nomi molto famosi ma tra le loro opere, complessivamente una trentina, c'è anche qualche altro film di buon successo (5).

Qui danno una prova egregia delle loro doti, dividendosi i compiti (di Marton sono le numerose scene d'azione, con la collaborazione dell'operatore Surtees). Infatti questa loro opera figura tra le cinque finaliste nel 1951 per l'assegnazione del principale Oscar: quello per il miglior film.

D'altra parte, sono anche ottimamente coadiuvati: Oscar per la miglior fotografia a colori a Robert Surtees ( a lui anche un Golden Globe) ed un altro per il miglior montaggio alla coppia Ralph E. Winters - Conrad A. Nervig.

 

La coprotagonista, nel ruolo della ricca signora dalla chioma fiammeggiante (6) che partecipa alla spedizione da lei finanziata per ritovare il marito Harry, è Deborah Kerr, 28/29 anni, attrice assai brava e bella e anche particolarmente "affiatata" con il suo partner (7)

All'altezza anche i comprimari: Hugo Haas e Richard Carlson.

 

Sulla trama preferisco non soffermarmi giacchè spero di trovare fra i lettori qualcuno che sia indotto ad avvicinarsi a questo film per la prima volta.

E' a mio parere il tipico film "per la famiglia", attraente anche per i ragazzi di oggi benchè - o forse proprio in quanto - abituati ad avventure più dinamiche e dense di effetti speciali: il ritmo "lento" con il quale si vive meravigliosamente  l'attraversamento di inesplorate lande africane (senza però cadere troppo nel "documentaristico") può risultare uno dei principali elementi di fascino di quest'opera.

I caratteri dei principali personaggi della storia sono resi con semplicità ma anche con l'adeguato approfondimento e Allan Quatermain ha poi in Stewart Granger l'interprete "ideale", come sarà tanti anni dopo Harrison Ford per Indiana Jones.

 

A me, che l'avevo visto tanti anni fa, ha regalato ieri cento minuti di sana serena piacevole distrazione, di cui sentivo il bisogno.

Voto: Quasi il massimo, quattro stelle e mezza.

 

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(1) John Lennon: "La vita è quello che ti capita mentre stai facendo altri progetti".

(2) Stewart Granger è stato il solo attore di Hollywood (assieme a Basil Rathbone) a saper tirare di scherma da vero professionista. La sequenza del duello di spada tra lui (senza controfigura) e Mel Ferrer in "Scaramouche" è tutt'ora considerata la migliore nella storia del cinema.

(3) C'è stato anche un seguito, di non grande successo, nel 1959: "Vatussi", interpretato da George Mongomery e diretto da Kurt Neumann

(4) Il nostro Emilio Salgari nel 1899 aveva tratto dal romanzo di Haggard una sua "libera riduzione" (non molto dissimile) pubblicata sotto lo pseudonimo di Enrico Bertolini: "Le caverne dei diamanti".

E' stata poi realizzata anche una terza versione cinematografica: "Allan Quatermain e le miniere di re Salomone", regia di J. Lee Thompson, interpreti Richard Chamberlain e Sharon Stone. E' del 1985, centenario della pubblicazione del romanzo, cui è ancor meno fedele. Anch'essa con un seguito, due anni dopo, stessi attori ma regia di Gary Nelson: "Gli avventurieri della città perduta".

(5) Diretti da Bennett: "Settimo velo" (1945) e "I disperati" (1953).

Diretti da Marton: Ancora con Stewart Granger "Inferno bianco" (1952) e "Fuoco verde" (1953). Inoltre: "Zingaro" (1955) e "Il giorno più lungo" (1963).

(6) Personaggio femminile che nel romanzo non c'è, introdotto nel film per consentire anche lo sviluppo di una storia d'amore. C'è anche nel film del 1985.

(7) C'era già stata, pare, tra la scozzese Kerr e l'inglese Granger una lunga relazione amorosa. Peraltro, lui ha sempre smentito un "ritorno di fiamma" durante le riprese di questo film: così come in occasione dei tanti film successivi in cui si trovò al fianco delle più belle donne dell'epoca, ebbe sempre la meglio - così dichiarò - la sua ferma volontà (con l'aiuto di docce ghiacciate) di rimanere fedele a Jean Simmons (8).

(8) Jean Simmons fu sua sposa dal 1949, lei vent'anni, lui trentasei, Erano tutti e due londinesi. Nel 1950 si trasferirono ad Hollywood, lui cambiò nome - o forse l'aveva già fatto prima - per evitare confusioni col quasi omonimo divo americano ( il suo era James Labranche Stewart) e furono ambedue stelle di prima grandezza per circa un decennio. Ebbero una figlia. Il loro "grande amore" durò anch'esso un decennio, poi il divorzio.

Anche la Simmons era bellissima e molto corteggiata anche durante il loro matrimonio, pare proprio inutilmente: in particolare, da John Fitzgerald Kennedy e Howard Hughes.  Benchè attrice quotatissima e indimenticata in parecchi ruoli, non ebbe mai la soddisfazione di ricevere premi particolarmente importanti, così come accadde pure a Stewart Granger (9).

(9) Stewart Granger, dotato di humour sottile, caustico ma mai irriguardoso, da gentleman inglese qual era, finchè rimase sulla cresta dell'onda non si prese mai molto sul serio come attore (...un lavoro come un altro, per guadagnare bene...) ma poi, a soli 54 anni, abbandonò il cinema, deluso delle parti che gli venivano offerte dopo quelle da eroe spadaccino o, come fu definito con sarcasmo, "divo in calzamaglia".

Tornò sugli schermi, soprattutto per riparare a investimenti rivelatisi sbagliati, una decina d'anni dopo, con "I quattro dell'oca selvaggia", film di grande successo: era il 1978. Ci lasciò nel 1993, all'età di ottant'anni, non in buona salute da tempo, deluso dal cinema e non solo, come rivelò nell'autobiografia.

Spero siano in tanti a ricordarlo con affetto come l'autore di queste note (*).

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 (*) Nota del 25.4.2015: Fra questi è sicuramente Marcello del Campo, che col suo prezioso commento ha arricchito questa recensione rendendo più completo il ricordo dell'attore, anche col fornire la sua filmografia fondamentale. Lo ringrazio vivamente.

 

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