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Teste rasate

Regia di Claudio Fragasso vedi scheda film

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La recensione su Teste rasate

di Mr Rossi
4 stelle

Per essere stato girato da un regista di pessimi horror d' imitazione non è inguardabile. Film di denuncia sul teppismo neonazista, fenomeno molto meno diffuso del teppismo da stadio, già rappresentato al cinema. Personaggi dimenticabili come il protagonista, un somaro insulso che entra in una banda di naziskin per sentirsi forte.

Film di denuncia drammatico sul fenomeno del teppismo neonazifascista italiano, subito contenuto dallo Stato con provvedimenti legislativi vari e poi discusso più volte dai mezzi di informazione ma secondo alcuni con troppo spazio che non meritava, più che altro per non fare della pubblicità indiretta anche se negativa a degli esaltati di estrema destra emarginati dal mondo della politica, in un paese dove era esistito anche il più organizzato e pericoloso terrorismo neofascista. Le figure principali della breve vicenda sono quasi tutti personaggi di scarso spessore facilmente dimenticabili, compreso il protagonista di nome Marco impersonato da Gianmarco Tognazzi, un somaro della periferia romana che entra in una banda di naziskin per sentirsi più forte, in alternativa a qualche spinello, ai tre amici del bar e alla prospettiva di fare il bidello come la mamma vedova (Franca Bettoia, madre di Gianmarco Tognazzi anche nella vita reale). Un ragazzo ambiguo senza arte ne parte e punti di riferimento, che pur militando volontariamente in un gruppo di fanatici razzisti ha una ragazza di colore. Ancora una volta si assiste alla rappresentazione cinematografica di un giovane sbandato che ha ancora bisogno di un padre. Dopo essere stato accettato nel branco di giovani teppisti neonazisti Marco sarà complice delle loro azioni criminali contro qualche barbone e spacciatore di droga extracomunitario, limitandosi da solo a degli sfoghi notturni contro il prossimo, bianco o nero che sia. In una scena ambientata di sera in un bar frequentato anche da stranieri, il neo naziskin respinge con violenza i complimenti sussurrati da vicino di un meglio vestito e più anziano avventore razzista, un rappresentante di quella cosidetta "maggioranza silenziosa" che solo a parole sarebbe d' accordo anche con i neonazisti. Marco sarà l’ unico di quel gruppo di ventenni violenti a rimetterci la vita.

 

Gli altri personaggi sono stereotipati o sommariamente definiti, come il truce capo dei naziskin (G. Base) interamente vestito di pelle nera detto “Fuhrer”, notato per la prima volta dal giovane protagonista mentre sbatteva fuori dal tram a calci uno zingaro ubriaco armato di coltello che infastidiva i passeggeri. Lo fa più per attirare l’ attenzione del protagonista che non per difendere delle donne dalle molestie di uno sgradevole balordo. L’ unica differenza tra lui e i suoi camerati pelati, che non vanno oltre gli slogan urlati e qualche spedizione punitiva di gruppo contro pochi extracomunitari, è l’ atteggiamento da politicante che assume nel rimproverare gli altri dicendo: “Che vi siete messi in testa?! Ci rasiamo le testoline e facciamo a botte?! Noi dobbiamo rimanere nell' ombra perchè la nostra lotta sarà dura e lunga!”. In un comizio interno i suoi toni sembrano più quelli di un rozzo oratore populista che urla delle frasi fatte vagamente simili ai Demo-Pluto-Pippo-Quì-Quò-Quà dei discorsi di Mussolini: “Noi siamo pazzi se è pazzia voler recuperare quello che quattro politicanti idioti hanno perso in quarant’ anni di parlamentarismo contadino!… Il popolo è stufo! E lo dimostrano le leghe, i movimenti, le schegge! Noi dobbiamo unificare questi uomini in un solo movimento! Noi non siamo violenti! Non vogliamo la guerra! Noi vogliamo la libertà, la pace, l’ ordine… Pulizia! Pulizia!”. Se quel Fuhrer de noantri dalla mascella mussoliniana ma dall' abbigliamento sbagliato da gay sadomaso americano parlava con un forte accento ciociaro sarebbe stato molto più realistico. In realtà è soltanto un povero illuso che sogna una improbabile seconda rivoluzione fascista italiana che annullerà le divergenze sociali tra ricchi e poveri, un estremista alienato di poche idee ma confuse più esperto di difesa personale che di storia politica, che pur essendo la guida di un gruppo disposto alla violenza non vuole troppa gente intorno a lui. Nel suo gruppo di naziskin si nota appena una scarsissima presenza femminile, rappresentata da due tipe pelate che ballano la loro tecno-music al ritmo di "Sieg Heil!", una delle quali raccoglie delle offerte libere per un non meglio specificato "Grande Fratello" che sicuramente non è il noto reality show televisivo di fine anni novanta.

 

  Meno credibile è la triste figura di un vecchio negoziante ebreo (F. Bucci) che a sentire lui da piccolo sarebbe stato anche violentato dai nazisti veri, che tenta inutilmente di far ragionare il protagonista, anche a mano armata, beccandosi solo degli insulti. In quella scena si nota che quella brutta esperienza d' infanzia lo ha segnato anche sessualmente, facendolo sembrare più repellente che patetico. Si vede anche che quella banda di naziskin romani subisce un attacco, senza reagire troppo, da parte di un gruppo di estremisti mascherati, probabilmente appartenenti a qualche non meglio identificato “centro sociale anarcomunista”, che in pieno giorno irrompono nel covo disco-palestra neonazista sprangando qualcuno per poi rubare una bandiera nazista, lanciare una bomba carta e sparare in aria con una pistola prima di scappare via. Il loro unico slogan politico è: "Afascidemmerda!". Anche in quel caso di carabinieri e poliziotti non si vede neanche l' ombra e poi questi naziskin borgatari parlano di libertà in questo contesto fittizio dove fanno tutto quello che vogliono sempre impuniti.

 

Per essere diretto da un mediocre e sconosciuto regista di pessimi film horror d' imitazione americana (alcuni titoli: "After Death", "Monster Dog", "Trolls 2" e due falsi sequel di noti film horror di Hooper e Raimi) il film “Teste rasate” non è inguardabile e le interpretazioni non sono pessime o involontariamente grottesche, anche se si tratta di personaggi tagliati con l' accetta. Lasciando perdere i già anziani ed esperti attori Franca Bettoia e Flavio Bucci, gli allora più giovani Giulio Base e Gianmarco Tognazzi, poi destinati a interpretare tanti altri personaggi più edificanti e simpatici, se la cavano. Non so se nel resto del mondo questo violento fenomeno giovanile contrassegnato dall' orrenda capigliatura rasata a zero da prigionieri dei lager nazisti, fosse più diffuso che in Italia ma è certo che sul tema hanno girato di meglio altrove. Ovvio che per fare un film come questo non occorrono dei grandi capitali milionari e il regista non insiste troppo su dei particolari scabrosi di ogni genere ma si capisce che certi personaggi e situazioni sono delle forzature poco credibili mostrate solo per rendere più interessante il film. Prima di girare questo film Fragasso ci aveva provato con un film comico con l' ormai dimenticato Alvaro Vitali nel ruolo del solito Pierino, che non fu mai distribuito nelle sale perchè giudicato fallimentare. Il regista si è probabilmente ispirato alla breve storia di un “movimento politico” di poche centinaia di naziskin romani fondato nei primi anni novanta da un ex militante missino, poi nazista dichiarato e ultrà della Lazio, i cui membri responsabili di varie violente aggressioni di gruppo contro studenti italiani e stranieri, vennero tutti arrestati nel 1993 e il loro movimento disciolto per decreto legge. Tra i giovinastri fermati per aggressione anche il figlio di un ambasciatore che oggi fa il mestiere del padre a Singapore. L’ anno prima la loro sede nella Capitale venne devastata da un gruppo di ebrei romani infuriati dopo aver visto delle scritte antisemite sui muri del loro quartiere firmate da quel movimento neonazista locale. Infatti "Teste rasate" fu più visto nei cinema di Roma e dintorni che altrove.

 

Pare che nel più vecchio movimento degli skinhead (teste rasate) di origine inglese ci fosse stata anche una componente minore apolitica e antirazzista ma è molto più rassicurante il fatto che oggi di quelli non se ne parla più da tempo e c’è solo da chiedersi come facevano negli anni ottanta-novanta dei giovani così antiquati, spesso e volentieri ostili verso chiunque e malintenzionati  verso altri senza scopi di lucro a trovare degli amici tra i loro coetanei che li seguivano e imitavano formando dei gruppi, anche se spesso poco numerosi. Di conseguenza i film come questo oggi sono stati giustamente dimenticati dal grosso pubblico e non solo da quello. A differenza dei loro simili americani, italiani e tedeschi, i più originali skinhead britannici degli anni ottanta erano in principio dei giovani, perlopiù dei ceti sociali più bassi, che con il loro modo di vestire uguale e di essere rigorosi volevano soltanto differenziarsi dai più numerosi, trasandati e anarchici punks e dai più ricchi e sgargianti frickettoni della Swinging London di un decennio prima. Ma anche in quel caso una parte di loro poi si intruppò nell' estrema destra nazionalista con conseguenti casi di violenza contro manifestanti laburisti, barboni alcolizzati, drogati, gay e stranieri. Un limitato fenomeno giovanile di apparenza esteriore, evitato da tutti quelli che vestivano e si pettinavano meglio già fuori moda allora, tantopiù da noi, figurarsi oggi. In quel periodo di ex o post paninari dei primi anni novanta, la stragrande maggioranza dei giovani italiani avevano in testa solo il calcio di serie A, la moda e la moto, non certe ideologie politiche defunte, passate e sputtanate o certe tribù di emarginati metropolitani che le esibivano sottoforma di simboli sui loro giubbotti tipo bomber da militare. Gente di nicchia più interessante per i sociologhi che non per giornalisti e politologi.

 

   Il film di Claudio Fragasso vorrebbe essere una realistica opera di denuncia come il più riuscito e visto “Ultrà” di Ricky Tognazzi sul teppismo da stadio, anch’ esso con il fratello Gianmarco nel cast, ma essendo un film su di un fenomeno criminale politicizzato di breve durata e poco diffuso solo in certe aree urbane metropolitane, riscosse scarso interesse dalla critica e dal pubblico, che di quei “quattro gatti neri spelacchiati di naziskin borgatari”, con i loro atti di violenza di gruppo o individuale e il loro limitato folklore pseudopolitico e paramilitaresco non gli ne poteva fregare di meno. Stesso cinico atteggiamento di quei pochi conoscenti del disgraziato protagonista che sostano al bar lasciandolo a se stesso. 

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