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Il tempo che ci rimane

Regia di Elia Suleiman vedi scheda film

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La recensione su Il tempo che ci rimane

di FilmTv Rivista
8 stelle

C’è un corpo (quasi) trasparente che attraversa la Storia. È quello del regista Elia Suleiman che mette in gioco se stesso e la sua famiglia dal 1948 fino ai tempi recenti in 4 episodi. Il suo è un volto straniato, allucinato, quasi una sorta di Tati moderno nelle gag surreali. Ma al tempo stesso c’è grandioso il riflesso della Palestina, sospesa tra normalità e follia, ricostruita da una memoria personale e familiare (i diari privati del padre, le lettere inviate dalla madre ai membri della famiglia che sono stati costretti a lasciare il Paese) che oltrepassa ogni frammento documentaristico per dare forma a un folgorante cinema dell’assurdo. Il cineasta, a sette anni da Intervento divino, realizza un’opera di sorprendente classicità, tra piani fissi che sembrano estender(si) all’infinito nella profondità di campo e movimenti ritmici come la fuga, la marcia dei soldati, le traiettorie degli interni domestici, ma anche astratta, in cui il ricordo può con­fondersi con il sogno e il desiderio come quel memorabile momento del salto con l’asta che supera il muro costruito da Israele. Il silenzio diventa un urlo e una risata fragorosa e dolente. E dentro c’è l’inten­sità di tutta una vita.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 22 del 2010

Autore: Simone Emiliani

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