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Medea

Regia di Pier Paolo Pasolini vedi scheda film

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La recensione su Medea

di cheftony
6 stelle

“Da più di dieci anni sono lontana dal mio paese.”

“Ma tu sei rimasta quello che eri!”

“No, sono un'altra creatura, ormai. Ho tutto dimenticato. Ciò che era realtà ora non lo è più.”

 

Medea (Maria Callas) è nipote della maga Circe e figlia del re della Colchide, figura sovrana di un popolo brutale, arretrato, dedito ad usanze terribili; Giasone (Giuseppe Gentile) è l'eroico capo della spedizione degli Argonauti, determinato a conquistare e riportare in Grecia una reliquia, il vello d'oro, custodito proprio nella regione di Colchide e per lui determinante per ottenere il trono di Iolco ingiustamente usurpato. Giasone trova in Medea un'aiutante, infatuata di lui al punto da sacrificare orrendamente il fratello Apsirto per aiutare l'ambizioso amante.

Giasone, dopo mille peripezie lungo il ritorno, si vede comunque rifiutare il trono della nativa Iolco ed emigra con la promessa sposa Medea a Corinto, città dove regna Creonte (Massimo Girotti). Se da un lato Giasone viene messo in guardia dal centauro Chirone (Laurent Terzieff), dall'altro Medea ha osservato già da tempo la realtà dei fatti: il suo mondo e quello del suo sposo sono distanti, inconciliabili, alieni. È sufficiente che il fedifrago Giasone manifesti la volontà di sposare Glauce, figlia di Creonte, per scatenare in Medea un'ancestrale, magica, ferina sete di vendetta…

 

 

“Il tema, come sempre nei miei film, è una specie di rapporto ideale e sempre irrisolto tra mondo povero e plebeo, diciamo sottoproletario e mondo colto, borghese, storico. Questa volta ho affrontato direttamente, esplicitamente questo tema. Medea è un'eroina di un mondo sottoproletario, arcaico, religioso. Giasone invece l'eroe di un mondo razionale, laico, moderno. E il loro amore rappresenta il conflitto tra questi due mondi.” [Pier Paolo Pasolini]

 

Pasolini negli anni si è innegabilmente e gradualmente spostato verso un cinema di poche parole, che lui stesso ebbe a definire “cinema di poesia”; se “Teorema” - tratto peraltro da un suo libro - anche solo attraverso le immagini sconta un certo didascalismo, “Medea” resta opera ardua da decifrare dalla semplice visione, rappresentando una rielaborazione del mito greco (stavolta la tragedia di Euripide) senz'altro meno autobiografica di “Edipo re”.

Pasolini era un intellettuale sincero e cocciuto, che aveva ormai condotto il suo discorso ostinatamente anticapitalista e antiborghese ai vertici della sua contraddittorietà, esibendolo allegoricamente in lavori sugli ultimi e per gli ultimi, ma inevitabilmente incomprensibile agli ultimi (per carità, non che la critica del tempo sapesse coglierne ogni sfumatura), nonché volutamente incomprensibile alla classe media della società dei consumi neocapitalista. E “Medea” risultò tanto criptico da portare ancora una volta il suo autore ad avvertire la necessità di fornire “spiegoni”, circostanza ormai consueta e in risposta all'urgenza pasoliniana di risultare, per quanto discusso, compreso; è un film difficile da seguire narrativamente, ricco di sequenze mute e di stratagemmi filmici inconsueti: per esempio, nell'incipit il centauro Chirone appare in sequenze consecutive come centauro (quindi metà uomo e metà cavallo) e poi come umano, in corrispondenza alla crescita di Giasone, individuo razionale che diventando giovanotto e adulto smette di vedere il sacro e si nutre di reale.

Un altro esempio: Glauce muore due volte, in un sogno di Medea e nella realtà, ma in modi differenti. Un altro ancora? Corinto è ambientata contemporaneamente nella pur vasta (ma compressa sul Camposanto per evitare di inquadrare segni di modernità) Piazza dei Miracoli a Pisa e nella siriana Aleppo per gli altri esterni, travalicando banalmente col montaggio ogni coerenza stilistica, architettonica, paesaggistica; la contrapposizione ambientale potrebbe essere l'ennesimo emblema dello scontro fra mondi inconciliabili, ma questo sarebbe già stato evidente con le riprese della Cappadocia per raffigurare la Colchide di Medea e ad ogni modo è innegabile che questi livelli di lettura non siano immediati. Non lo sono tuttora e non potevano certo esserlo per gli operai in pieno Sessantotto.

 

 

A partire dalla seconda metà degli anni '60, Pasolini sposta la sua attenzione autoriale verso il terzo mondo, per certi versi ritenuto analogo alla dimensione contadina e preindustriale italiana; ed è proprio del terzo mondo che Pasolini intende parlare con “Medea” e indirettamente, dunque, del sottoproletariato, sollevando temi arditi quali lo schiacciamento della (in)cultura barbarica da parte della classe dominante ed evoluta, la presa di contatto del mondo arcaico con la democrazia della società moderna e civilizzata, il legame fra identità personale e sociale. L'interesse di Pasolini per queste tematiche trova ulteriore riscontro nella realizzazione (pressoché contemporanea a “Medea”) delle sue riprese ispettive in Uganda e Tanzania per realizzarvi un film tratto dall'Orestea di Eschilo e mai realizzato; quelle ed altre riprese costituiscono “Appunti per un'Orestiade africana”, uscito solo poche settimane dopo la morte di Pasolini, nel '75.

“Medea” rappresenta ad ogni modo un unicum, come opera a sé, ma anche in quanto a personaggi coinvolti: se fra i tecnici va segnalato l'esordio assoluto come scenografo del grande Dante Ferretti, va sottolineato fra gli attori l'unico ruolo cinematografico della cantante lirica Maria Callas, che ai tempi era “la divina” in declino, personalità importante e nel pieno di un periodo di depressione per l'abbandono subìto dall'armatore Aristotele Onassis. Se al film contribuisce in maniera peculiare con sguardi intensi e penetranti, tanto fece per richiamare l'attenzione su di esso, giacché i rotocalchi del tempo non mancarono di curiosare sulla relazione lavorativa e personale instaurata con Pasolini, col quale riscontrò grandi affinità. Da rimarcare anche l'impiego dell'ottimo Massimo Girotti, ma soprattutto di Giuseppe Gentile, saltatore in lungo e triplista di altissimo livello; il suo Giasone è personaggio di secondo piano, invero già ridimensionato dalla tragedia euripidea e qui neocapitalista che ripudia Medea per fini opportunistici e materiali. Poiché doppiato da attori professionisti, al pari di altri interpreti (Callas inclusa), del suo ruolo resta prevalentemente la fisicità.

“Medea” non è un lavoro fra i più lucidi e intriganti di Pasolini, ma merita comunque uno sguardo e una ricerca di una chiave di lettura approfondita. Ed è pur sempre l'ultimo capitolo della sua seconda ed elitaria fase cinematografica, precedente la Trilogia della vita.

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