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In viaggio con una rock star

Regia di Nicholas Stoller vedi scheda film

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La recensione su In viaggio con una rock star

di PompiereFI
2 stelle

Aldous Snow (Russell Brand) canta “African child”. Palandrana mistica bianca e pantalone dorato attillato, passeggia in una zona di guerriglia scavalcando cadaveri e partorendo bambini di colore. Istrionica e provocatoria rock star internazionale, è un ragazzo (poco) cresciuto, inconsapevole e ignorante. Non sa dove si trovino il Ruanda o lo Zimbabwe. E nemmeno la fidanzata, Jackie Q, sembra un fulmine di guerra: una cretina sciroccata che segue il cantante per mettere in mostra il suo fisico. Ambedue sboccati, tutti droga, sesso e rockettino. L’ultimo album di Aldous è massacrato dalla critica, vende pochissime copie e costringe il “fenomeno” a tre anni di oscuramento. Aaron Green (Jonah Hill) è il giovanottone che gli salverà in qualche modo la vita.


Gli artisti sono le persone più false e sfuggenti sulla faccia della terra. Le battute di “In viaggio con una rock star” non sono da meno: a loro scappano spesso riferimenti ipocritamente avanguardisti sugli atti sessuali, sui genitali, viscidi sessocentrismi sparsi a piene mani, cazzi duri o mosci a seconda delle necessità. “Ti sto fottendo il cervello”. “Spero col preservativo, perché ho la mente malata”, è uno degli apici dello scritto.

In un “on the air” (un on the road senza i piedi per terra) triviale, donne mestruate preferibilmente oche e uomini con eccessiva riserva di testosterone danno vita a un’imbarazzante baracconata che urta l’intelligenza delle galline. Detto così potrebbe anche risultare divertente, ma non ci sono tracce di vera ironia: solo uno sparlare oltre i limiti, un fiume in piena di parolacce sopra le righe che esonda a ogni minimo tentativo di gag.

Visto che siamo in pieno clima Harry Potter (quando scrivo questo mio mirabile rigurgito critico mancano poche ore a uno dei più attesi debutti cinematografici dell’anno), durante un party si vede pure Draco Malfoy (Tom Felton) a cui è appiccicata la prevedibile battuta su Piton e il Quidditch. Si aggiungono, non richieste, due strizzate d’occhio clamorose a “Pulp fiction” e una a Kubrick (!), giusto per tirare innanzi, come i poveri accattoni che racimolano centesimi. La sceneggiatura è tutta qui, cosa credevate?

Tra una puttanata e l’altra, trenta godibili secondi dedicati alla parodia dei telefilm a sfondo sanitario, con uno spassoso serial intitolato “Medicina alla cieca”, altri trenta secondi (e siamo già a un minuto!) di leggera e venata critica al ruolo della tv sfasciafamiglie, tre minuti per uno strascicato conflitto generazionale tra padre (Colm Meaney, dove sei finito!) e figlio, e una fulminea riconciliazione tra fidanzati, tormentati come un autobus in panne.

Sconclusionata baraonda, la pellicola si sfracella al suolo grazie a vergognose sottolineature scurrili e a idee registiche fuori dal comune: pensate che Nicolas Stoeller, the director, sovrappone immagini dei luoghi più famosi per farci capire che l’azione si è trasferita a Londra, a New York o Las Vegas. Davvero illuminante. Ah, e non dimentichiamoci il sottofondo di canzoncine rock gradevoli come carta vetrata che preme sui testicoli.

“Get him to the Greek” è la vaccata dell’anno. Fa male come una sega non portata a termine. Prevede un menù a base di patatine rasate a forma di microfono, dildi trasparenti e dosi di eroina ficcati forzatamente su per il culo di Aaron, tanto per farlo urlare e sgranare gli occhi, dialoghi che lasciano una macchia indelebile come gore di sperma sulle lenzuola (se pensate che stia esagerando, sappiate che al confronto dei componimenti del film io sono un signore), e vomito essiccato sul bavero di una giacca.

E poi ripenso alla famigerata reclame di Rocco Siffredi. A quella patatina maliziosa e spiritosa, vietata da ciechi e austeri sforbiciatori. E immagino che questa portentosa razione di disonestà cinematografica arriverà dritta in prima serata, su Italia 1. La potranno vedere tutti i bimbi, accompagnati da indulgenti genitori convinti che quello sia il meglio che lo spettacolo della settima arte abbia riservato loro.

Il countdown per il concerto riabilitativo della figura di Aldous è appassionante come la consultazione delle “Lancette dell’economia” sul Sole 24 Ore. Per un’astrusa associazione di pensieri mi è venuta in mente la macchina nel parcheggio. C’era da pagare la sosta o andava bene così? Avrei trovato una multa? E ancora. Al mio ritorno, cosa avrei potuto tirar fuori dal freezer da poter mangiare il giorno dopo? Avevo sufficiente scorta di carta igienica, a casa? Perché negli ultimi giorni sudo così facilmente, soprattutto all’altezza dei peli del posteriore?

Don’t worry, baby. I’m talking about my asshole.

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