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Wall Street. Il denaro non dorme mai

Regia di Oliver Stone vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Wall Street. Il denaro non dorme mai

di Enrique
10 stelle

Scena iniziale (evidente omaggio ad un altro mito cinematografico: The Blues Brothers: panflo): un secondino elenca gli oggetti da restituire ad un ex detenuto (tra gli altri, un telefonino stile citofono - tinodeluca - e un ferma soldi SENZA soldi). Chi sarà mai il fortunato proprietario?

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Ma il redivivo Gordon Gekko, ovviamente, tornato dalle latebre per far parlare nuovamente di sé. Tuttavia il duro programma di correzione cui è stato sottoposto per molti anni in carcere sembra aver sortito i suoi effetti. Adesso Gekko ha una sola priorità: vaticinare (come una moderna Cassandra) gli imminenti disastri finanziari (tutto in un libro così - manco a dirlo - da racimolare un po’ di grana). Siamo infatti nel giugno del 2008.

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Ma caso vuole che, dopo una sua conferenza, incontri il suo futuro genero (Jacob Moore/S.LaBeouf), anch’egli - guarda un po’ - baldanzoso genietto della finanza (ma non un misero broker come quell’altro, Bud Fox: J.Moore ha il pass per entrare nei CdA delle più esclusive banche d’investimento, oltre ad essere, nel tempo libero, foraggiatore dell’energie pulite). Un’occasione da non lasciarsi scappare per un vecchio lupo come lui, che, certo, avrà pure perso il pelo, ma non il vizio…

Ma stavolta non sarà il solo candidato a concorrere per la poltrona di persona più ambiziosa della terra. La corsa è a tre. Il suo credo (l’avidità come motore del mondo) ha fatto proseliti…

A più di 20 anni di distanza O.Stone torna sul luogo del delitto (tinodeluca) per fare il punto della situazione. E il suo bilancio è disarmante. Se nel 1987 il regista di N.Y. si era limitato ad illustrare - con fredda, nonché criptica (contando sull’effetto contundente della grandinata di numeri razionali sparaflashati a ripetizione su interminabili bande elettroniche piuttosto che da incalliti brokers dell’arena di Wall Street) lucidità - le facili distorsioni cui si prestano i delicati ingranaggi del capitalismo (un gigante dai piedi d’argilla), oggi la situazione è, se possibile, di gran lunga peggiorata. Quelle storture non solo permangono, ma sono anzi diventate endemiche. Sono entrate - sottoforma di mutui subprime, derivati, futures e altri junk bonds - in tutte le banche d’affari (nessuna esclusa) dalla porta principale e ne hanno corroso l’ossatura. Ne hanno eroso le fondamenta. Voler perseguire il “grasso bonus di fine anno” a tutti i costi ha reso ridicole domande del tipo: “la nostra banca fallirà?” per accreditare piuttosto domande come:”chi non fallirà?”.

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O.Stone, quindi, avvia una nuova indagine alla ricerca delle cause di tale patogena degenerazione del capitalismo 2.0 (tale solo in apparenza, però, visto che ai richiami della green economy si preferiranno nuovamente quelli del buon vecchio oro nero) e lo fa riesumando quel vecchio squalo di G.Gekko (stavolta tratteggiato in maniera amabile e affettuosa da M.Douglas, forse anche per via della malattia che lo colpì proprio nel 2010 - Paul Hackett - e che quindi si trova drammaticamente in parte quando afferma che l’avidità è un cancro: ROTOTOM) per affidargli, paradossalmente, il ruolo di grillo parlante tra i pinocchi della finanza nel paese dei balocchi (ROTOTOM). Cioè - ironia della sorte - il ruolo del lettore del pamphlet anticapitalista (bradipo68) redatto da Stone viene affidato proprio a colui che aveva fatto dell’avidità, della sete di denaro, il suo cavallo di battaglia… Severa applicazione della legge del contrappasso, dunque, anche perché Gekko - oltre ad essere tenuto a salire in cattedra per ammettere pubblicamente (alla generazione dei 3 niente: niente lavoro, reddito e risorse) il fallimento delle sue lezioni di 20 anni prima (ma ormai è troppo tardi) - si ritrova pure una figlia idealista (o comunista direbbero alcuni) che lo odia.

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Ma gli anni passano anche per Stone e per il suo mordente così - pur senza rinunciare alla malsana idea di rimettere in carreggiata quel vecchio scalpitante doppiogiochista (imprevedibile come gli andamenti del mercato… a loro volta somiglianti alo skyline di Manhattan: PompiereFI) - alla fine - facendo prevalere il richiamo del proprio sangue sull’odore del sangue altrui (Indy68) - opta per una conclusione decisamente più accomodante (della precedente) e dal più epidermico appeal (FABIO1971).

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Non più lacrime amare, bensì tenere effusioni e bolle (ma di sapone, sia chiaro) che leggiadre fluttuano in cielo. Una simbolica nota di speranza se si riflette sulle parole del saggio J.Moore (per cui fu dopo la più grande di tutte le bolle - quella cambriana di circa 500 milioni di anni fa - che l’evoluzione ebbe quell’accelerazione tale da portare alla razza umana). Un dato interpretabile in chiave catastrofica qualora l’oggetto di riflessione sia, piuttosto, l’abissale debito pubblico americano (ad oggi più di 16 miliardi di dollari!) in parte dovuto proprio alla ricapitalizzazione del capitalismo emorragico post crack 2008.

Sarà una bolla a salvarci (o a condannarci) dunque? Chissà, la risposta - direbbe Bob Dylan - soffia nel vento…(ROTOTOM).

 

Con Wall Street - Il denaro non dorme mai O.Stone, forse, si è addirittura superato (impresa rarissima per un sequel). Perché oltre al contenuto (di cui sopra) ha curato alla perfezione persino la forma.

Per aver offerto la parte di un anziano capitalista ad un enigmatico, simpatico vecchietto seminando poi un indizio sulla sua identità attraverso la suoneria del cellulare di J.Moore (che occasionalmente diffonde nell’aria il tema principale de Il buono, il brutto, il cattivo: willardwaldo).

Per aver chiamato J.Brolin (“Bretton” James nel film…e subito il pensiero va agli Accordi di Bretton Woods che per primi hanno riscritto le regole dell’ordine mondiale monetario e finanziario) ad interpretare ancora una volta il ruolo del villain di turno (perfetto nell’incarnare il peggio dell’America: Stuntman Miglio), facendolo duellare - ma sul dorso di 2 ruggenti bolidi a 4/6 cilindri (mica a colpi di fioretto) - con l’astro nascente S.LaBeouf in una gara a chi ha il superego più spropositato (“di più” risponde Brolin/James all’interlocutore che gli chiede il suo prezzo)… salvo poi venir surclassati dal terzo incomodo.

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Per aver montato il film con un ritmo indiavolato e fascinoso, che sintonizza lo spettatore sul tempo presente in cui si svolgono le vicende (ROTOTOM) ed esalta la fotografia (a 360° e 24ore su 24) dei lucenti skyscrapers di Manhattan, tanto luminosi fuori, quanto tenebrosi dentro (perché a torreggiare nella penombra delle stanze dei bottoni - quali minacciosi, maligni, numi tutelari, da cui gli odierni business man traggono i loro insegnamenti - sono dipinti quali Saturno che divora i suoi figli di Goya).

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Senza dimenticare la splendida colonna sonora (arricchita - suggerisce Paul Hackett - da brani dell’ex Talking Heads David Byrne, al meglio della sua creatività: hupp2000) e i piacevolissimi cammei di O.Stone e dell’indimenticato Bud Fox/C.Sheen (nella parte di un altro di quelli che sembrano aver imparato poco dall’esperienza, seppur breve, carceraria)…

Per tutte le ragioni suesposte: un chef-d’oeuvre (panflo).

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