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Wall Street. Il denaro non dorme mai

Regia di Oliver Stone vedi scheda film

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La recensione su Wall Street. Il denaro non dorme mai

di leporello
4 stelle

Dovendo trovare un motivo valido per andare a vedere questo film, o si va a scavare negli archivi dei gioventù nella speranza di ritrovare: A) Il primo Wall Street, quello vero, col Gordon Gekko in piena forma e con la fedina penale ancora pulita - B) Un Oliver Stone ancora non imbolsito (artisticamente parlando) - C) Un Martin Sheen ancora non imbolsito (fisicamente parlando)… oppure (ma penso che questo possano permetterselo solo quelli che ne sono rimasti affascinati) si va al cinema con una motivazione sentimentale per rivedere sul grande schermo Carey Mulligan dopo la sua fulminante performance in “An Education” che le valse la nomination all’Oscar (quello poi assegnato con largo anticipo alla Bullock). Senonchè, stendendo temporaneamente  un velo pietoso sul primo pacchetto di motivazioni, devo dire che sacrificare la Mulligan a ruolo di figurante o poco più è decisamente il più grosso errore che possa commettere un regista, imbolsito o meno, e insieme il più grosso torto che si possa fare a questa giovane londinese piena di talento, naturale e non. E poi, forse, anche per evitarle i ruoli piagnucolosi che male si addicono alla sua espressività così fresca, magari bisognerebbe smettere di darle per suocera Susan Sarandon, operazione già effettuata nel (pessimo) film “The Greatest” (uscito in Italia col titolo “Gli ostacoli del cuore”), che magari è proprio la Sarandon che la deprime, in qualche strano gioco di sinergie recitative. Fatto sta che, non potendo ricavare grosse soddisfazioni neppure dalla Mulligan, di questo ennesimo non-necessario sequel resta praticamente niente, la faccetta pulita (troppo pulita) di Shia LaBeouf, quella arcinota dell’invecchiatissimo Douglas, i tecnicismi perniciosi di un regista ormai imbolsito che, sempre più risucchiato dentro la fase conclamata della sindrome di reduce del Vietnam, si inventa, per esempio, delle entrate in scena che non ci azzeccherebbero nemmeno nel Mago di Oz (Lebouf a Londra nell’appartamento di Gekko, Gekko a New York sotto casa della figlia incinta), l’intenzione, rimasta intenzione, di portare al cinema la mostruosità del capitalismo e delle sue bolle (tante le bolle nel film, quelle di sapone uscite dai giochi dei bambini…) che rimane sotterrata da un insano buonismo vagamente arteriosclerotico, tipo quello che potrebbe trapelare da un’intervista di Lucia Annunziata a Walter Veltroni, tanto per capirsi….
Si possono sempre fare i sequel (Yes, we can), ma con miglior tempismo, please, e non solo temporale.
E date alla Mulligan quel che è della Mulligan. Thanks.

Su Carey Mulligan

Qualcuno sa darmi il suo numero di cellulare??

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