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Pandorum. L'universo parallelo

Regia di Christian Alvart vedi scheda film

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La recensione su Pandorum. L'universo parallelo

di Immorale
4 stelle

Un astronauta, il Caporale Bower, si risveglia da un lungo sonno in una camera di ibernazione, solo. Della sua squadra, facente parte di una missione per colonizzare un pianeta con le stesse caratteristiche biologiche della terra, non c’è traccia. L’unico a risvegliarsi insieme a lui è il Tenente Payton; insieme cercheranno una risposta ai molti misteri dell’immensa astronave e delle loro menti.

Il film inizia bene, lasciando crescere l’incertezza narrativa in un ambiente, l’astronave-mondo Elysium, claustrofobico e oscuro, con i suoi cunicoli angusti e soffocanti zeppi di cavi e somiglianti a ventri materni. Ambientazione scenica già ampiamente sfruttata da altri lavori fantascientifici (mi viene in mente principalmente “Alien”), ma utilizzata in maniera abbastanza funzionale. Le principali pecche vengono a galla, purtroppo, nello sviluppo narrativo della trama: una mini odissea fanta-horror da videogioco (in debito palese, per alcuni spunti e per la pedissequa rappresentazione delle “creature spaziali” antropofaghe, col Marshall di “The Descent”), suddivisa in livelli con insidie crescenti, fino al liberatorio finale. La sceneggiatura, al netto di qualche discreta ma già abusata idea sul “mal di spazio”, risulta scontata e sconclusionata, non aiutata da sequenze “action” eccessivamente frenetiche e confusionarie, con personaggi improbabili (l’agricoltore guerriero e l’agronoma karateka…) e riprese con repentini stacchi di camera che non ne agevolano la fruibilità visiva. Le istanze metafisiche vengono solamente sfiorate dal regista, probabilmente non in grado di assemblare tematiche troppo complesse sul piano concettuale, scegliendo di rifugiarsi in scontati passaggi didascalici e zeppi di luoghi comuni di stampo apocalittico, oltre che su psicologie d’accatto dei personaggi principali. Il film, quindi, si arena ben presto sulla sponda dell’ovvietà più palese, pur con la sua sufficiente dozzinale scorrevolezza fatta di spaventi telefonati e contorcimenti emotivo-esistenziali da prima elementare. Molto meglio, sullo stesso tema, il lavoro di Danny Boyle “Sunshine” del 2007.    

 

Sulla trama

Ambigua.

Su Christian Alvart

Mediocre.

Su Ben Foster

Stoico.

Su Dennis Quaid

Incerottato.

Su Antje Traue

Guerriera.

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