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Humpday - Un mercoledì da sballo

Regia di Lynn Shelton vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Humpday - Un mercoledì da sballo

di degoffro
7 stelle

“Vai al supermercato, ti trovi una ragazza, inizi a baciarla, una cosa tira l’altra, poi compri un anello, ti sposi, compri una casa, e dopo un po’ l’ufficio del piano di sopra si trasforma nella camera dei bambini.”

 

“Cavoli dici sul serio?”

 

“No, non ancora… ma abbiamo eliminato il portiere e ora tiriamo solo i calci di rigore.”

 

Ben riceve a sorpresa la visita del vecchio amico di università Andrew. Sono dieci anni che non si vedono. Ben ora è sposato con Anna e ha trovato un suo equilibrio sentimentale e lavorativo (è ingegnere civile). Andrew, invece, ha vagabondato e folleggiato in giro per il mondo con il sogno di realizzarsi come artista. Durante una festa dionisiaca a casa di amici di Andrew, tra abbondanti dosi di alcool e fumo, Ben e Andrew accettano di partecipare all’Humpfest, il festival del cinema porno. Alla ricerca di un’idea forte per un progetto artistico originale, Ben e Andrew decidono di girare un porno gay che vada però “oltre il gay”. Saranno infatti loro due, dichiaratamente eterosessuali, a girare personalmente il film: “due etero che ci danno sotto.” Quando il mattino dopo ha riacquistato lucidità e smaltito la sbornia, Andrew chiede a Ben se è sicuro di andare avanti, dal momento che teme che Anna non accetterà. Ben però non ha alcuna intenzione di tirarsi indietro e rassicura l’amico: “Non è che non posso perché sono sposato!”. Forse però Ben sopravvaluta le larghe vedute della moglie.

Il terzo film da regista di Lynn Shelton, anche sceneggiatrice ed attrice (è Monica, amica di Andrew), dopo “We go way back” del 2006 (trama da imdb: “Una storia tragicomica con tendenza surrealiste su una ragazza di 23 anni, persa, che viene ricercata dalla se stessa all'età di 13 anni.”) e “My effortless brilliance” del 2008 (trama da movieplayer: “Uno scrittore che vive in città deve confrontarsi con la natura selvaggia in una prova di amicizia che lo spinge ad attraversare le foreste dello stato di Washington per provare a ricomporre i pezzi di un'amicizia spezzata.”) è una commedia spesso salace ed esilarante, lontana da infantili provocazioni o macchiettistiche semplificazioni, chiacchierata ma non verbosa (tranne nell’ultima parte, al motel), come invece saranno i successivi e meno brillanti “Your sister’s sister” e “Touchy feely”. La Shelton, senza quasi mai farsi intrappolare da una scrittura troppo teatrale e ridondante, con un’impostazione quasi documentaristica ed un abbondante uso della macchina a mano, privilegiando la spontanea naturalezza e la felice improvvisazione degli attori (i tre interpreti principali sono davvero ottimi), costruisce, con intelligenza e freschezza, il film intorno a lunghi confronti fra i protagonisti, alcuni dei quali oggettivamente irresistibili. Su tutti il maldestro e scombinato tentativo di Ben di spiegare alla moglie il suo compito nel film porno che verrà girato dall’amico Andrew: ”Suppongo farò cose tecniche. Potrei portare il caffè. Se servono delle fotocopie, volo in copisteria e le faccio.” Di fronte alla reazione gelida ed impietrita della moglie, Ben preferisce rinviare la discussione a dopo cena, concludendo con un imbarazzato “Ti amo.” seguito da un silenzio tombale ma inequivocabile di Anna. Non meno gustosa è la successiva scoperta di Anna su quello che sarà l’effettivo ruolo del marito nel film, inconsapevolmente rivelatole da Andrew: “Io e Ben che facciamo sesso nel film. E’ una specie di follia!” Ulteriormente sconvolta da quelle inattese dichiarazioni, Anna si rivolge incredula al marito, sempre più imbarazzato: “Non riesco a credere di essere nella mia cucina e parlare con te che giri un film porno con lui!

Il film però non è giocato solo su episodi goliardici e spassosi, di pura comicità. La Shelton è brava a scegliere i toni giusti anche nelle sequenze più intime e private, a partire dal divertente e quotidiano incipit. Ben e Anna a letto, entrambi troppo stanchi per fare l’amore, nonostante siano i giorni giusti per provare ad avere un bimbo, decidono di comune accordo di rimandare al giorno successivo: “Risparmio le batterie per dare il massimo!” dice ridendo Ben alla moglie. Ma vincenti sono anche altri momenti introspettivi. Come non pensare al dialogo tra Ben e Andrew, dopo la partita di basket, riguardo all’opportunità di proseguire nel loro azzardato progetto, superando limiti impensabili, con i legittimi dubbi di Andrew e la disinvolta e spavalda certezza di Ben, forse desideroso semplicemente di ripetere con l’amico le goliardate del passato e ritrovare un po’ di quel (rimpianto?) ribellismo, tanto da essere convinto che la moglie Anna non avrà alcun tipo di remora, situazione ripresa quando i due, dopo la scenata di Anna, si ritrovano, la notte prima delle riprese, a confrontarsi rivelando i reciproci punti di vista e lasciandosi andare a piccole confessioni e confidenze (le fantasie gay di Ben adolescente sul titolare di un videonoleggio), con una complicità maschile che ben traspare dallo schermo. Lo stesso dicasi della sequenza in cui Ben cerca di spiegare ad Anna il motivo per cui vuole fare quel film con l’amico, esplorando aspetti forse ancora sconosciuti della sua personalità: “E’ meglio che tu chiarisca adesso, prima che abbiamo un bambino!” è la ferma risposta di Anna.

Poi nell’ultimo segmento il film gira un po’ a vuoto e si fa ripetitivo, con i due protagonisti, messi inesorabilmente di fronte all’impossibilità di realizzare il loro film (nonostante l’imposizione iniziale della regola di “Pretty woman”). Anche in questo caso però la regista sa uscire da un certo impasse narrativo con una conclusione all’altezza e per nulla stucchevole (cosa che non le riuscirà con i successivi due film), lasciando che Ben e Andrew, consapevoli e lucidi, non si facciano condizionare nel loro rapporto di amicizia e nel loro profondo legame di affetto dal fallimento del progetto: “spogliati degli abiti e degli imbarazzi, Ben ed Andrew scopriranno che l'amore non significa stare insieme ma l'uno accanto all'altro.” (Marzia Gandolfi). “Humpday” finisce così con l’essere una bizzarra, lieve e frizzante riflessione sull’amicizia virile (con belle pagine di verità tra Ben e Andrew), sul matrimonio (la paura di rimanere incastrato in un tipo di vita, chiudendosi totalmente a nuove esperienze), sulla fragilità e volubilità dei sentimenti umani, sui pregiudizi, e sul legittimo desiderio di andare oltre una morale borghese e precostituita, tra insicurezze e curiosità, capricci e titubanze, fantasmi e rimozioni, dubbi e tabù, arrivando magari a scoprire lati del carattere che non si credeva di avere. “Humpday incide come una lama affilata la "carne viva" di una generazione che ha mascherato dietro un'ampia gamma di ipocrisie e menzogne la propria incapacità di crescere e di maturare un'identità piena e consapevole. Ben e Andrew sono, in tal senso, le due facce della medesima medaglia, e la maniera di sfuggire alla vita dell'uno si rispecchia in quella, uguale e contraria, dell'altro: l'ovattata, amniotica sicurezza della routine borghese di Ben trova così nella sterile e infantile "ribellione" di Andrew un perfetto contraltare, ed è quasi inevitabile che i due estremi finiscano per toccarsi.” (Sergio Di Lino)

Presentato alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes del 2009. Vincitore del premio della giuria al Sundance e del premio John Cassavetes agli Indipendent Spirit Awards. Joshua Leonard (Andrew) era uno dei ragazzi protagonisti di “The blair witch project”. Da evitare il (pessimo ed inadeguato) doppiaggio con le voci impostate di Lillo e Greg che fa il paio con l’insulso sottotitolo italiano, a conferma di come spesso i distributori italiani siano capaci di inutili banalizzazioni che hanno l’unico effetto di tradire lo spirito del film. Rifatto da Yvan Attal nel 2012 con il titolo “Do not disturb” con protagonisti lo stesso Attal, François Cluzet, Laetitia Casta, Charlotte Gainsbourg e Asia Argento (in Italia distribuito direttamente in dvd dalla Koch Media).

Voto: 6/7

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