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Tutta colpa di Giuda

Regia di Davide Ferrario vedi scheda film

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La recensione su Tutta colpa di Giuda

di giancarlo visitilli
6 stelle

Un film scritto sullo spartito, ma la cui penna è la cinepresa. I suonatori ci sono tutti: da Godano all’intero ensemble dei Marlene Kuntz, che suonano insieme agli autentici detenuti del carcere “Le Vallette” di Torino.
Il racconto, invece, a mo’ di musical, racconta la genesi di uno spettacolo teatrale, basato sulla passione di Cristo, che una giovane regista mette in scena all’interno del carcere. Qui non si parla, però, di copione, respirazione diaframmatica, interpretazione, e di tutto quanto concerne l’arte attoriale, ma di religione, dell’irrisolto conflitto fra ragione e fede e c’è spazio e tempo finanche per una storia d’amore.
Il regista che aveva già sperimentato tali soluzioni formali, l’altra volta con la musica dei CSI (Tutti giù per terra), questa volta con i Marlene, in realtà mette sullo schermo un melting-pot in cui vi è di tutto e di più: dalla religione al tema della libertà, e quest’ultima vista dal punto di vista di chi vuol sentirsi libero in quell’ora d’aria al giorno, ma anche libero da certe sovrastrutture che impongono all’arte forma e sostanza. Ne deriva una certa ed eccessiva libertà, dai toni della fotografia, all’uso delle inquadrature, che il più delle volte non aggiungono nulla, anzi sottraggono anche quel poco di emozione che ci sarebbe stata, altrimenti. A farla da padrona è la musica, poiché ogni rumore diventa ritmo, ogni strofa e ritornello dialogo, l’improvvisazione invenzione e racconto, il teatro (e per nulla il cinema) terapia. Comprensibilissimo, vista l’esperienza diretta di Davide Ferrario, che ha maturato lungo quasi dieci anni di lavoro in carcere. Ferrario, infatti, è un bravo documentarista, che ha sempre applicato la sua tecnica mista per la realizzazione di film: dalla scelta degli attori non professionisti, alla resa sporca del camcorder che dà l’idea di vita realmente vissuta, insieme ad una certa ironia ed autocitazionismo ‘da bravo’, quando per esempio, durante la scena in cui il sacerdote esclama “molto pasoliniano!” di fronte a una regista molto costernata.
Bravo (il regista); furbo (il film): mancavano solo Arisa e Morgan tra i protagonisti e poi sarebbe stato perfettamente opera contemporanea; insolito; altamente musicale (vista la scelta dei testi e delle canzoni dei Marlene), il film di Ferrario merita una sola visione. Ma se la perdete al cinema, aspettate di noleggiare (e non comprare) il dvd.
Giancarlo Visitilli

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