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The Limits of Control

Regia di Jim Jarmusch vedi scheda film

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La recensione su The Limits of Control

di Peppe Comune
8 stelle

Un uomo misterioso (Isaach De Bankolé) viene ingaggiato per raccogliere in vari posti della Spagna una partita di diamanti. Arrivato in Europa si muove tra Madrid, Siviglia è la zona di confine che guarda il Marocco. Incontra diverse persone, ognuna caratterizzata da un nome che serve a non rivelarle d’identità : il violinista (Luis Tosar), la bionda (Tilda Swinton), il chitarrista (John Hurt), il messicano (Gael Garcìa Bernal), il francese (Jean-FrancosiStévenin), la guida (Hiam Abbas), l’americano (Bill Murray). Le incontra sempre a dei tavolini di un bar, e con ognuna di loro scambia dei pacchetti di fiammiferi e le sole parole che servono a riconoscersi come appartenenti allo stesso gioco. Parla poco e solo per dire l'essenziale. Durante il suo cammino è presente una donna (Paz de la Huerte), molto bella e sempre nuda, che sembra ricordargli che lui ha una coscienza a cui deve tener conto prima o poi.

 

Isaach De Bankolé

The Limits of Control (2009): Isaach De Bankolé

 

“The Limits of Control” è un film che vive della laconicità del suo protagonista è nella perfetta simmetria di ogni inquadratura. Sembra di stare in un quadro dedicato al mistero tanto è palese l’intenzione della regia di fare della calma straniante un occhio vigile sui destini dell’umanità. Jim Jarmusch costruisce un congegno ad orologeria dove ogni cosa, dal più piccolo gesto alla parola più esplicativa, va nel senso in cui deve necessariamente andare e nel modo che deve per forza procedere. 

Delle frasi senza senso che fungono la parola d'ordine, dialoghi al limite del grottesco, due scatole di fiammiferi che girano continuamente di mano, diamanti che devono arrivare a destinazione, una donna bella, nuda e misteriosa a fare da femme fatale. Queste sono le coordinate narrative di un film che si muove come in un labirinto dove chi conosce la strada la intraprenda senza preoccuparsi di fornire suggerimenti agli altri. Chi è l'uomo misterioso ? Come si chiama ? Qual è precisamente il compito che deve portare a termine ? Le domande nascono spontanee, ma ad interessare non sono tanto le risposte, quanto l'architettura d'insieme della messinscena che fa di questo film un noir atipico dalle forti connotazioni simboliche. L'uomo misterioso parla poco e solo per dare alle parole una precisione matematica, ordina e beve sempre due caffè per volta. Scruta chiese, donne e paesaggi in religioso silenzio, per scoprire che sono l’esatta rappresentazione dei dipinti che ammira nei musei. Potrebbero anche essere la proiezione della lucida adesione alla vita che fa. Forse non ha proprio niente e nessuno a cui pensare, ma la coscienza sembra venire a ricordargli che dovrà tener conto del peso delle assenze. 

Intorno alla sua totale onnipresenza, ruotano tante figure in ruoli tanto piccoli quanto enigmatici. Prestano il loro corpo in quello che potrebbe sembrare un mero esercizio di stile. Ma invece, nel loro insieme composito, finiscono per far emergere una sorta di sinfonia in nero dove ognuno è perfettamente in linea con lo scopo che è chiamato a portare a termine. Ciò che è chiaro è il fatto che ci si trova al cospetto di persone poco raccomandabili e di una situazione ad alto rischio per la vita. Ma tutto rimane avvolto in una narrazione volutamente ambigua, e non perché Jim Jarmusch abbia voluto sadicamente disorientare lo spettatore impedendogli di trovare un suo perché nella storia che sta assistendo, ma perché le parole vanno usate in libertà controllata per sottrarle al controllo capillare di chi può ascoltare senza essere mai visto (come suggerirebbe l'elicottero militare che sorvola spessissimo la scena, che anche quando non viene inquadrato ne avvertiamo la presenza per il rumore delle eliche in fuori campo).  

Come appunto suggerisce il titolo del film, e che poi il suo sviluppo si impegna a far emergere abbastanza chiaramente (a mio avviso), al centro di tutto c'è il carattere ambivalente della parola controllo. Che riguarda tanto il passo dell'uomo che non si scompone mai, sempre ligio al suo ruolo di messaggero è sempre puntuale ad ogni appuntamento, quanto all’idea di un controllo molto più ampio e capillare, riferito ad un'entità anonima che eterodirige il passo di ogni essere umano come se questo si trattasse di una pedina in una scacchiera. In ogni caso, il controllo è inteso come un modo di muoversi predefinito, calcolato, studiato nei minimi particolari. Previsto e prevedibile. cura di far emergere questa sensazione una regia geometrica, attenta a pedinare il passo dell'uomo misterioso facendo di ogni inquadratura un accumulo di situazioni enigmatiche. Sorretta da una fotografia che cattura il sole di Spagna dando alla luce una voluta consistenza scenografica. 

A di là del film in sé, di “The Limits of Control” mi è piaciuto il suo essere dentro un'idea di cinema che amo molto : affatto lineare, anti-narrativa, simbolica, citazionista. Ovvero, che non si preoccupa di corrispondere ai diktat tipicamente hollywoodiani che impongono storie con un loro sviluppo canonico. Mi è piaciuto essere coinvolto nella sua atmosfera onirica ed allegorica insieme. Mi è piaciuto lasciarmi coinvolgere da Jim Jarmusch in uno dei suoi lucidissimi trip speculativi. 

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