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The Rum Diary. Cronache di una passione

Regia di Bruce Robinson vedi scheda film

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La recensione su The Rum Diary. Cronache di una passione

di M Valdemar
8 stelle

Imbevuto in una soffice e calda tinta ambrata che (e)spande luci e atmosfere lascivamente arroventate nella loro percettibile esplorazione e discesa nel putridume di animi corrosi dall’interno, The Rum Diary, come un bicchiere di buon rum, ha i suoi tempi e rit(m)i, va assaporato e sentito con partecipazione, (ac)cogliendone riflessi e sfumature, bisogni e impulsi, tracce oblique ed essenze torbide, abbandonandosi, docilmente e violentemente, alla Visione. Esperienza sensoriale che non c(r)ede al Sogno (perché “è solo una pozzanghera di sangue marcio”) e anela la (im)pura, inebriante Voluttà, in luogo della sporca, sudicia, irriferibile Verità. Guai ad abusarne, perverso non goderne.
In un mondo in cui gli uomini “conoscono il prezzo di tutto, ma il valore di niente” (vedasi la tartaruga ricoperta di gioielli), il giornalista, mancato romanziere, Paul Kemp (Johnny Depp) s’imbatte nel Male, incarnato da affaristi senza scrupoli, come il viscido Mr. Sanderson (Aaron Eckart) - cementificatori di coste e di libertà (a colpi di spiagge da cui cacciare i “balordi” violatori di presunte privacy) -, che intendono piegare i fatti alle loro sordide, crudeli volontà. E per fare ciò hanno bisogno della carta stampata, che sia sottomessa, controllata, “indirizzata”.
Il quieto Kemp sarà pure annoiato, (s)fatto, perditempo, candidamente vizioso, ma la sua relazione con fluidi e liquidi d’ogni tipo e derivazione produce scatti di sincero cinismo, di libera affrancazione da una realtà che non si può raccontare (come gli intima il subdolo e “parrucchinato” direttore Lotterman - Richard Jenklins -), abitata da grassoni che si recludono in hotel a giocare a bowling, da servili ometti, da poveracci che hanno perso lavoro e progressivamente diritti e perciò identità.
Ecco quindi che dal vagamente eccessivo consumo di alcool, dal sangue che gli inietta di beota beatitudine occhi e sguardo, dal bramato scambio di sostanze organiche con la fatale Chenault (Amber Heard), dall’incauta assunzione di allucinogeni tramite collirio, dall’imprevisto scorrere di piogge che sospendono l’estatica immagine di una Puerto Rico da sogno, dal rifugio - impellente, urgente, osteggiato - nelle facoltà rivelatrici e purificatrici del Sacro Inchiostro, da tutto questo - nel giornalista profano bevitore - s’effondono fumi d’insofferenza, di repulsione e luccichii di speranzosa lotta, pur nel loro placido, sonnolento, deviato incedere.
Un percorso zigzagante dentro il delirio e ritorno, lungo il quale trovano (folle) posto combattimenti tra galli, liturgie esoteriche domestiche, danze del volgo sfrenate e trascinanti, fiumi di alcool usato come intercalare tra una parola e l’altra, ed i cui compagni di strada sono i colleghi Bob Sala (Michael Rispoli), fotografo e “guida” per Kemp, e Moberg (Giovanni Ribisi), in teoria reporter addetto ai crimini e agli affari religiosi, di fatto uno sballato a tempo pieno, che ha come passioni (oltre all’abuso di droghe d’ogni specie) ascoltare i discorsi di Hitler e la creazione di un distillato con gradazione alcolica di 470°.
E poi c'è Lei.
Lei è Chenault, seducente e pericolosa, fiammeggiante ed eccitante, una sirena che ammalia con un richiamo travolgente. Impossibile per Paul - come per chiunque (in)sano di mente - non innamorarsene. C’è solo il piccolo problema che è la compagna di Mr. Sanderson. E sì, le cose non sono mai semplici. Oppure, sono semplicemente incasinate.
Con le fattezze peccaminose e torride di un’intensa Amber Heard in stato di grazia (che non può che essere) diabolica, è bruciante e irresistibile come un Rum a 59 gradi: sai già che un misero sorso non basta, che ne vuoi di più. E sai pure che non porterà a niente di buono, ma questo non potrà altro che alimentare il desiderio. L’uomo è fatto di carne ed è preda di istinti e impulsi più o meno controllabili, e nelle sue vene scorre sangue. Misto all’alcool.
Detto della Heard, presenza più che magnifica, tutti gli attori offrono prove convincenti. E’ senz’altro un grande piacere riscoprire - finalmente - le doti recitative di Johnny Depp, dopo tante, troppe, interpretazioni da maschera grottesca, stucchevoli e di maniera fino all’irritazione. Il suo forte coinvolgimento nella fase produttiva (e non solo) è ben noto, così come lo è il rapporto esclusivo avuto con Hunter S. Thompson, il che non lascia alcun dubbio sulla sincerità e complicità della sua partecipazione. Assolutamente azzeccato Aaron Eckhart, volto e maniere da grandissima carogna. Strepitoso (e più che “sopra le righe”, perché se l’è sicuramente “pippate” tutte) Giovanni Ribisi: lurido, nauseabondo (i fetidi odori paiono oltrepassare lo schermo), completamente schizzato. Perfetto. Perché uno come lui non può diventare una star?
The Rum Diary è un film certamente imperfetto e a tratti disomogeneo (la ricerca di difetti è esercizio meramente irrilevante e illogico), che trae vantaggio però dalla credibilità e attitudine di ogni sua componente, compresa la regia calzante e pregna di umori sapidi del ritornante Bruce Robinson (anche sceneggiatore), in un disegno generale di rispetto ed evocazione dell’anima anfetaminica e ipercaustica di Hunter S. Thompson.
Chi s'aspettava grandi sussulti, facili prese emozionali, eccessi e prodigi visivi lisergici, oltre a non aver compreso lo spirito, ha sbagliato film. E bevanda.










 

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