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White Material

Regia di Claire Denis vedi scheda film

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Death By Water

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La recensione su White Material

di Death By Water
8 stelle

In un territorio ignoto di un imprecisato paese africano, si svolge la vicenda di Maria, proprietaria di una piantagione di caffè minacciata dall'avanzare dell'esercito di liberazione capeggiato dal "boxeur" Isaac de Bankolé, personaggio scuro, silenzioso, personaggio quasi mitologico eletto a simbolo della rivolta, e tuttavia, marginale nel corso degli eventi. Ci sono tre microcontesti che formano l'ensemble della vicenda: I ribelli, per lo più ragazzi, adolescenti fiammeggianti muniti di artiglieria pesante, lance e mannaie, sprezzanti del pericolo, ottusi e coriacei, per nulla riluttanti nel dare la morte all'avversario; in opposta sede c'è l'esercito al soldo dello "stato" una specie di milizia reclutata tra gli strati più biechi e facinorosi della società, pronti a reprimere duramente qualsiasi forma di disordine, appartenenti a una casta impura pagata col sangue e con le vite altrui; e in mezzo c'è la piantagione Vial gestita dalla assidua e sconsiderata Maria (Isabelle Huppert, sempre più immersa nel dramma a tinte forti) la quale non cede di un passo e procede masochisticamente alla attività a cui è abituata da sempre (i vecchi residui del colonialismo incarnati dalla piantagione in cui sussistono ancora disparità profonde tra il padrone bianco e i lavoranti neri, anche se non v'è traccia, nel film, di una critica al post-colonialismo) "tu vois Jean-Marie, le problème c'est que je ne me vois nullpart en dehors d'ici" afferma lei stessa durante una conversazione notturna; c'è il marito interpretato da Christophe Lambert, uomo impaurito che si vende al poter de jure per pianificare la fuga all'insaputa della moglie; c'è un figlio Emmanuel a cui dà il volto Duvauchelle, ragazzo svogliato annoiato in cerca di scosse forti, e per assecondare queste sue esigenze prende la decisione di correre al fianco dei ribelli mettendo a repentaglio la propria vita e quella dei suoi familiari. Trovo che il film sia estremamente ben girato. Le sequenze con la camera a mano costituiscono più del settanta per cento del materiale filmato, e sono tutte filtrate attraverso il corpo di Isabelle Huppert messo alla prova dalla regista, e vero e proprio punto di riferimento partendo dal quale si dipana la presa di coscienza dell'ambiente e dello stato di guerriglia incombente; soprattutto i capelli, lasciati vaporosi lunghi che sembrano il proseguimento corporeo dei rami degli alberi della piantagione, un connubio genetico tra il corpo e la terra a firma di un legame inscindibile. Ma il merito vero e proprio del film non sta tanto nella sua accuratezza formale, bensì nella sua capacità di sviare le insidie della assiologia bene/male che si ritrovano puntualmente in numerosi film che hanno come scenario l'Africa: la rappresentazione dello "stato di eccezione", mostrato attraverso il punto di vista di una famiglia bianca discendente dei coloni francesi è orfano di qualsiasi forma di buonismo e non risulta per niente calcato nel descrivere chi siano i buoni e chi i cattivi. In effetti non c'è nessuno che si salva (nel senso letterale del termine) e nessuno cerca una qualsivoglia scappatoia di redenzione, tutti accettano lo status quo sclerotico della guerra civile in cui non ci sono vincitori ma solo vinti, non ci sono guadagni (il caffè per Maria, il salario scarno per i lavoratori, la libertà per i ribelli, l'oppressione per gli oppressori) ma solo perdite (e anche la repressione sanguinaria finale viene messa in dubbio dalla fuga del ragazzo capogruppo dei ribelli, il cui destino seppur incerto sarà comunque quello di continuare a lottare e di cercare di coinvolgere nella lotta il maggior numero di persone, dunque non è il giogo ad avere la meglio ma si rimane sospesi), in cui ognuno non è più padrone di se stesso se non in funzione del contesto. E devo dire che Claire Denis è stata abile e coscienziosa nell'evitare tali trappole, aiutata forse anche dalla meticolosa scrittura di Marie N'dyaie qui cosceneggiatrice, sempre refrattaria al luogo comune sull'Africa e attenta a esporre con taglio chirurgico, i rapporti di forza di una famiglia immersa in una no men's land e i rapporti di forza, esterni, tra le forze militari (più che politiche) che si contendono la supremazia di questa terra di nessuno.

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