Regia di Lucrecia Martel vedi scheda film
Terzo film della regista argentina Lucretia Martel, nota per l’esordio meritatamente celebrato de “La Cienaga”(2001), bissato qualche anno dopo con l’ancor piu’ interessante "La nina santa" (2004 - Cannes 2004 - in concorso) .
Con "La mujer sin cabeza” (Cannes 2008 - in concorso) la Martel si spinge oltre i confini di un cinema che documenta l’ordinarieta’ della vita quotidiana e riesce a creare nello spettatore l’angoscia per l’attesa di un evento o la conferma di una verita’ scomoda che nessuno potrebbe accettare.
Una elegante e bella cinquantenne, donna impegnata nel sociale e nella gestione della famiglia e della bella casa con giardino ove vive con marito e figlia, durante un viaggio da sola in auto si distrae per rispondere al cellulare che squilla ed urta improvvisamente un ostacolo, sbandando e ferendosi lievemente alla testa.
Stordita dal colpo, desidera uscire per accertarsi cos’ha investito, ma poi desiste, riflette, riparte, mentre un forte temporale allaga il canale e la strada che lo costeggia. Sullo sfondo lo spettatore intravede, riverso per terra, un corpo sfocato; di un cane? di un altro animale? di un uomo? Non lo sapremo mai come non lo sapra’ mai la protagonista, che trova il coraggio di confidarsi con il marito e le amiche piu’ care, ma viene soccorsa solo con facili rassicurazioni e una tenerezza superficiale che non la convincono ne’ tantomeno ne placano l’angoscia.
Intanto le giornate trascorrono grigie nella loro ordinarieta’, il disagio della donna non accenna a diminuire, ed anzi si intensifica quando, durante un viaggio con alcuni conoscenti, l’auto in cui viaggiano viene fermata per un posto di blocco proprio nei pressi del luogo dell’incidente, ove si viene a sapere che i vigili del fuoco hanno trovato un corpo, umano o d’animale, che ha ostruito il canale. I timori della donna, mai sopiti, riaffiorano e acuiscono la sua sofferenza e il suo latente malessere.
A volte l’attesa di una verita’ e’ la piu’ dura prova che si possa sopportare e si risolve in una dolorosa espiazione che non ti fa pensare ad altro e ti disintegra interiormente col ritmo ossessivo di un martello pneumatico. Lo stile scarno e il ritmo lento della Martel celebrano l'evoluzione di un senso di disagio e una tensione per la verita’ che non si riesce a svelare. Il volto gradevole ma teso e perennemente triste della protagonista (una sorta di Susan Sarandon sudamericana) sul quale incede frequentemente la macchina da presa con ripetuti intensi primi piani, traduce alla perfezione un clima di angosciosa attesa che invade l’animo dello spettatore: da questo punto di vista il film riesce completamente a trasferire sui (temo pochi, fino ad ora) spettatori che ne sanno accettare i tempi lenti, la tensione di un evento che non potra’ piu’ essere ricostruito, elaborato, ne' tantomeno accettato.
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