Regia di Phillip Noyce vedi scheda film
Dramma eccessivamente schematico nella presentazione 'bianchi tutti cattivissimi vs. neri tutti buonissimi' e il cui maggior punto di forza risultano paradossalmente le ottime tempistiche da cinema (semi)action infuse al film da Noyce.
“Catch a Fire”, titolo preso in prestito da una canzone di Bob Marley, è la quintessenza di quel che accade quando si dispone di un ottimo soggetto ma di non altrettanto buone idee su come svilupparlo. Il film è stato scritto da Shawn Slovo, figlia di Joe Slovo, uno dei leaders del partito comunista sudafricano e della lotta anti-apartheid negli anni '70 e prodotto da Robyn Slovo, sorella della già citata sceneggiatrice. E fatte tali premesse poco sorprende lo scarso distacco con cui la vicenda viene narrata, risultandoin ultima analisi in una sorta di apologia del terrorismo. La regìa è affidata a Phillip Noyce, Australiano di Hollywood più a suo agio con il cinema thriller che non con quello drammatico (sebbene abbia anche diretto l'eccellente “La generazione rubata”) che non prende posizione contro l'eccessivamente schematico 'bianchi tutti figli di mignotta senza remore vs. neri tutti santi che non farebbero del male neanche a una mosca' previsto dallo script, limitandosi invece ad infondere all'opera le giuste tempistiche da cinema (semi)action. E su quest'ultimo punto, sia detto, ha svolto un ottimo lavoro in quanto il film certamente non annoia. Notevoli anche le interpretazioni dei due protagonisti Derek Luke e Tim Robbins. Rimarchevole il fatto che al botteghino fu questo un fiasco clamoroso, e il film resta tuttora sconosciuto ai più.
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