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I demoni di San Pietroburgo

Regia di Giuliano Montaldo vedi scheda film

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La recensione su I demoni di San Pietroburgo

di giancarlo visitilli
6 stelle

Sacco e Vanzetti (1971), Giordano Bruno (1974), Gli occhiali d’oro (1987), sono i tre titoli che costituiscono la trilogia del potere. In realtà, Giuliano Montaldo, da sempre sofferente delle angherie, perpetrate attraverso l’intolleranza di ogni genere, sembra quasi continuare la sua unica opera, nonostante i diciotto anni di assenza dall’ultimo film, anche per mezzo dei Demoni. E proprio i demoni sono i protagonisti da sempre presenti nelle sue storie, che fan parte dell’unica storia, quella dell’umanità.
Ora, in un’algida San Pietroburgo, quella del 1860, fotografata dall’eccellente Catinari, Montaldo ambienta la storia dello scrittore russo per eccellenza, Dostoevskij. La sceneggiatura è ispirata da un racconto di Andrei Konchalovsky, scritto da Paolo Serbandini: le passioni, le paure e la malattia di Fjodor Dostoevskij, si combinano con i tormenti, le inquietudini e le agitazioni, tipiche dell’epoca in cui vive lo scrittore. Infatti, la città vive un periodo di caos, a causa della morte di un componente della famiglia imperiale, ucciso dai terroristi. Lo scrittore Dostoevskji, tormentato dalla malattia, dai guai per di debiti di gioco, è costretto a farvi fronte, scrivendo un nuovo romanzo. Per caso sa di un attentato e per questo si mette a cercare la giovane donna Alexandra, che è capo del gruppo rivoluzionario, per tentare di fermarla. Tutto ciò accade di notte, mentre di giorno, lo scrittore detta “Il giocatore”.
I demoni é un’opera stratificata e fin troppo ambiziosa: troppe idee, intuizioni ed eccessivi spunti di riflessione, rischiano di far avvertire una cattiva digestione, anche al pubblico che ha letto qualche romanzo di Dostoevskij, e che quindi conosce il modo dello scrittore di trattare la libertà, il valore dell’esistenza umana, la rivoluzione e i rivoluzionari. La sensazione è che vi sia “troppa carne a cuocere”, compresa la grande pretesa di contestualizzare gli eventi del tempo, con quelli nostri, italiani, degli anni Settanta, della clandestinità e della lotta armata. I suoi demoni hanno troppa pretesa di essere gli antenati dei nostri terroristi, nonostante il mondo di allora, nel quale si aggirano, non sia così tanto diverso da quello di oggi. Motivo per il quale Montaldo sceglie tre piani temporali diversi per raccontare lo dello svolgimento della storia, quello della condanna a morte di Dostoevskij, della grazia, con la successiva deportazione e un ultimo tempo, con il sogno-incubo dello scrittore, che si risveglia sperdendosi nella fitta nebbia di San Pietroburgo, per poi svanire nel nulla.
I dialoghi, troppo letterari, e un massiccio impianto marcatamente teatrale, insieme ad un sovradosaggio di biografia, fortemente intrisa alla sterminata bibliografia consultata, in modo evidente dal regista, alla fine delle due ore lasciano il segno, anche della noia. E non basta il nutrito cast, con la magistrale interpretazione di Miki Manojlovic, attore feticcio di Emir Kusturica, il bravissimo Roberto Herlitzka, Carolina Crescentini, Anita Caprioli e finanche l’imbarazzante critico cinematografico Steve della Casa, per risollevare le sorti di un film che, comunque, osa in cultura, vista la bassezza del nostro cinema, sempre più ritorto sulle squallide figurine da tv.
Un lavoro più certosino di ripulitura, avrebbe reso meno pesanti le stesse ali della metaforica aquila della libertà. Saremmo volati più in alto, privi della pesantezza di una sceneggiatura sovraccarica, allo stesso modo dei romanzi di Dostoevskji, per i quali c’è sempre il desiderio-esigenza di giungere al finale, ma con la consapevolezza di aver letto troppe pagine, prima di arrivare lì.
Giancarlo Visitilli

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