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Garage

Regia di Lenny Abrahamson vedi scheda film

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La recensione su Garage

di maurizio73
6 stelle

Alla sua seconda prova da regista , l'irlandese Lenny Abrahamson centra il bersaglio del ritratto umano e morale in questo piccolo saggio sulla virtù dei semplici e la crudeltà della vita, dipingendo un personaggio la cui disponibilità verso la comprensione degli altri è inversamente proporzionale alle sue reali possibilità di integrazione sociale

Umile impiegato di una sperduta pompa di benzina della provincia irlandese, il mite Josie è un sempliciotto un pò sciancato e benveluto dalla sparuta comunità che vive lì intorno. Solitario ed emarginato, stringe una candida amicizia con un giovane adolescente portato a bottega dal titolare, finchè una innocente leggerezza non farà crollare il fragile equilibrio che ancora lo tiene ancorato alla vita.

 

 

Alla sua seconda prova da regista e con un budget più che risicato, l'irlandese Lenny Abrahamson centra il bersaglio del ritratto umano e morale in questo piccolo saggio sulla virtù dei semplici e la crudeltà della vita, dipingendo un personaggio la cui disponibilità verso la comprensione degli altri è inversamente proporzionale alle sue reali possibilità di integrazione sociale.
Attraverso il misurato compendio tra il naturalismo di uno spaccato sociale di desolazioni e solitutidini ed i candidi contrappunti di una poesia della semplicità che solo gli ultimi sanno avere, Abrahamson costruisce la gabbia per topi di un dramma della formazione non andato a buon fine (quello del protagonista e quello del suo giovane amico), laddove l'inevitabile diffidenza delle convenzioni sociali e l'emarginazione della diversità scorrono silenziosi come impercettibili movimenti carsici che finoscono per emergere in tutta la loro spietata ed ineluttabile tragicità. Se il tema di un limbo esistenziale la cui routine può essere scardinata dalla eccezzionalità di un evento o l'irrimediabilità di una scelta ricorre spesso in opere di questo genere (vedere per credere il bellissimo Shell di Scott Graham di qualche anno dopo), laddove il desiderio di evasione è frustrato dall'inanità del carattere più che dalla mancanza di occasioni, in questa storia patetica di tenerezze e crudeltà il suo protagonista sembra ancorato alla terra dalla pesantezza di una deformità che ne limità i movimenti e circoscrive il perimetro, facendogli compiere i suoi giri a vuoto attorno al piccolo mondo delle sue sicurezze (il lavoro, il momento del tè, il pub) ed i timidi tentativi di una convivialità che osi perfino sfidare le umilianti repulsioni di una donna con ambizioni sessuali appena più mature. Un cuore semplice, direbbe Flaubert, che sa mantenere immutato il suo incanto per la bellezza della vita a dispetto dell'aridità di un mondo ostile e meschino; la vera sublimazione di una intelligenza morale che nasce dalla paradossale deficienza delle furbizie della natura umana e pertanto destinata ad immolarsi con il candore di un martirio silenzioso risorgendo dalle placide acque di una misteriosa rinascita. Straordinario Pat Shortt che dà corpo e anima alla dolente fisicità di un ingenuo Candide sotto il cielo d'Irlanda ed incetta di premi in giro per il mondo tra cui Cannes, Dublino e Torino solo per citarne alcuni.

 

“Le sue labbra sorridevano. I battiti del suo cuore rallentarono a uno a uno, ogni volta più incerti, più tenui, come si esaurisce una sorgente, come si disperde un’eco; e, quando esalò l’ultimo respiro, gli sembrò di vedere" ...sul tratturo battuto dal tempo e dagli uomini la placida transumanza di un meraviglioso destriero.

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