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Minatori e minori

Regia di Fulvio Wetzl vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Minatori e minori

di albenedetti
10 stelle

“Che male c’è ad aver paura?” Ad aver paura di scavare nell’animo umano per andare in cerca delle proprie radici, dei propri affetti e della propria identità collettiva? I Mineurs di Fulvio Wetzl non sono solo dei poveri cristi, costretti a cercar fortuna in Belgio, lontano dalla loro Lucania, a scavare nelle miniere di carbone come fanno i vermi (o i “vermigli”, come li chiamano i bambini del film). E Mineurs non sono soltanto gli adulti, ma anche i bambini, i figli degli stessi minatori. I guaglioni, anzi, le “creature” sono i veri protagonisti del film: la più spontanea espressione del concetto di famiglia. I “minori” sono dei grandi eroi. Sono moderni argonauti che vanno in cerca del vello d’oro ma scoprono un tesoro ancor più prezioso: quello della propria identità. Dell’identità individuale che si fa identità collettiva perché, prima di tutto, identità degli affetti. Che si rivela attraverso la scoperta e la centralità dell’affetto della famiglia intesa come nucleo originario di ogni forma societaria.

I bambini che corrono per le strade della Lucania con le “carrozze” fatte di cuscinetti a sfera sono uguali ai bambini in Belgio che scivolano con i coperchi delle pentole sopra i cumuli di sassi perchè è il gioco che li accomuna aldilà di ogni barriera linguistica.

Loro giocano all’aperto, alla luce del Sole, a ricordarci del sacrificio dei genitori che scavano in miniera, sottoterra, e che non si vedono mai se non in una delle ultime sequenze del film. Come le formiche, piccole ma operose, che fanno della loro unione la loro forza più dirompente.

Un insegnamento leopardiano questo, che emerge grazie a quelle figure bellissime ed intense dei maestri elementari, “illuminati” dalla luce calda del meriggio in Meridione e dalla luce fredda del mattino al Nord: il maestro lucano è un “Garibaldi didatta” che insegna ai bambini le poesie ricordando loro che il gioco è poesia, “paese per paese”, in italiano come in dialetto; la maestra belga sintetizza invece la fattività e la sensibilità femminile tipica dell’insegnamento. In Italia, il maestro divide gli scolari che litigano accusandosi reciprocamente delle rispettive miserie e nobiltà; in Belgio, la maestra riesce invece a unire i bambini fiamminghi con i bambini stranieri, cioè quelli italiani, compiendo il miracolo di non farli sentire soli, isolati nella loro lingua.

Ed ancora una volta è una donna, Vitina - e l’uso del diminuitivo non è casuale - moglie di Michele e madre del piccolo Armando, che riesce a riunire la famiglia in Belgio, lottando in prima persona per ottenere una casa dignitosa in grado di preservare l’unitarietà e la solidità della famiglia stessa. E se da un lato la sensibilità femminile di Vitina gioisce di questa coesione di affetti quando si verifica l’incidente mortale in miniera dove riescono a scamparla i propri cari, dall’altro la lucidità maschile di Michele interviene per ammonire di questa gioia e rammentarci che tutti siamo attaccati agli altri: chè se viene meno uno, viene meno il concetto stesso di comunità.

A dirigere questo coro di voci è il sentimento religioso che si traduce nella sacralità della famiglia e che si manifesta per mezzo delle figure del Cristo ligneo e della Beata Vergine, trasportati con cura e devozione lungo un’estenuante processione in treno dall’Italia al Belgio. Il Cristo in croce accompagna i “Minori”, li accomuna nelle loro sventure. Dona loro conforto e coraggio. Ricorda loro che “una comunità resta tale in ogni parte del mondo”. Vive e dialoga con loro, non solo per mezzo dei sacerdoti, in Lucania come in Belgio, ma attraverso la propria presenza, così espressiva da rendere Cristo interlocutore reale nel dialogo tra Giovanni e suo figlio Vito, il “minore” che si fa grande compiendo il miracolo di far entrare suo padre in chiesa, riunendo così la famiglia agli occhi di Dio. 

E anche con questo film si è compiuto un piccolo miracolo che ci rivela una grande verità: aver restituito piena dignità storica a tutte quelle minoranze che emigrando all’estero si sono sacrificate in nome dei propri affetti. Almeno questo è quanto vedono gli occhi dei “minori”.

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