Regia di Roberto Faenza vedi scheda film
Già la scelta di avere lasciato l'impresa in balia di un regista mediocre come Faenza non lasciava presagire niente di buono, ma era difficile immaginare un risultato tanto disastroso, del quale è forse corresponsabile anche l'infelice coproduzione italoiberica. Chi non ha letto il romanzo rischia di capire ben poco della vicenda raccontata sullo schermo, banalizzata in una gattopardesca serie di storiellacce d'amore destinate al fallimento, quando non siano consonanti con la superiore ragion di stato, che è poi quella di far coincidere la classe dirigente borbonica con quella del nuovo stato italiano (e brutalmente condensata da Faenza nella frase messa in bocca al Principe Giacomo secondo la quale "fatta l'Italia, adesso dobbiamo farci gli affari nostri"). Chi invece ha letto il romanzo non può non rimanere dostoevskianamente umiliato e offeso dallo scempio che ne è stato fatto in questo film che speriamo venga al più presto dimenticato da tutti. Diciamo subito dei meriti del film, che sono, essenzialmente, l'aver risvegliato l'interesse su un romanzo ingiustamente dimenticato e l'avere azzeccato i personaggi per un paio di ruoli minori, come il Biagio Pelligra nei panni di Baldassarre e la Lucrezia di Giselda Volodi (e a voler essere generosi ci si potrebbe mettere anche il Fra' Carmelo di Vito e il Giovannino di Guido Caprino). Per il resto è un disastro totale.
Tutto, a cominciare dal regista. Per fare un buon film ci vuole un buon regista: la buona volontà non basta.
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