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La masseria delle allodole

Regia di Paolo Taviani, Vittorio Taviani vedi scheda film

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La recensione su La masseria delle allodole

di FilmTv Rivista
4 stelle

Per fare un albero ci vuole il legno. E per fare il legno ci vuole l'albero. Per mettere su un film dei Taviani, nel 2007, ci vogliono cinque paesi europei, che a loro volta pretendono nella troupe maestranze e commedianti. Accade così che Paz Vega faccia l'armena, Alessandro Preziosi e André Dussolier si trasformino in turchi e che Angela Molina diventi greca. L'unica al posto quasi giusto è Arsinée Khanjian, che è nata a Beirut ma ha come marito Atom Egoyan, nato al Cairo ma di genitori armeni. Insomma, un pastrocchio. Che fa il paio con il vecchiume che ormai abita le opere di Paolo e Vittorio Taviani, autentici maestri di un cinema quietamente assopito, per non dire defunto. Pare di vedere un film delle cinematografie dell'Est quand'erano sotto il controllo e la pressione dell'Urss. Oppure uno sceneggiato targato Raiuno, didascalico e didattico quanto serve per far conoscere una tragedia. Vale a dire l'eccidio perpetrato dai turchi nel 1915 (si parla di oltre un milione e mezzo di persone), ai danni del popolo armeno: i maschi di ogni età trucidati all'istante e le donne e le bambine deportate nel deserto ed eliminate senza sguardi indiscreti. Il genocidio (la parola è tuttora contestata dagli eredi di chi si macchiò) è tuttora al centro di vibranti polemiche. Per farla breve, se gli spagnoli hanno saputo rielaborare al meglio quasi mezzo secolo di dittatura franchista, e gli italiani hanno più o meno fatto i conti col fascismo e i tedeschi col nazismo (seppur tardivamente: l'outing è in corso), i turchi sono ancora schierati con se stessi, un po' come quella buona parte di argentini che non ne vogliono sapere di riprendere i processi contro i colonnelli che fecero sparire migliaia di oppositori. Dunque, il film di Paolo e Vittorio Taviani ha il merito di riportare alla luce un episodio storico che, tra l'altro, ha molto a che fare con la prossima entrata della Turchia nella Comunità Europea. Quanto alla fattura, come si accennava, siamo dalle parti di quella che ora chiamiamo fiction: ciò che vedrete al cinema, infatti, seppur diluita in due ore, è una sorta di bigino della versione televisiva che farà grazia di alcuni personaggi e situazioni (il soldato di Preziosi, il giudice bulgaro della sequenza finale, la famiglia italiana di stanza a Padova ecc.), qui sacrificate al montaggio. Qua e là si scorgono le magie che fecero grandi La notte di San Lorenzo, Allonsanfan e Padre Padrone: ma sono solo chicchi, momenti, piccole straordinarie intuizioni. Come se gli autori non avessero più fiducia nella loro poetica, nelle loro immagini. Come dimostra la scena conclusiva, dopo i titoli di coda, quando la catena con il grappolo d'uva rosso sangue si confonde con il grappolo verde speranza che apre il film: è qui che ritroviamo i maestri toscani.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 13 del 2007

Autore: Aldo Fittante

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