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Interiors

Regia di Woody Allen vedi scheda film

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La recensione su Interiors

di Aquilant
8 stelle

Interni freddi e deserti all’apparenza che si schiudono sulle prospettive brumose della Spiaggia della Desolazione. Volti pianificati nel lividume di un chiarore di tenebra che rende le stanze così poco appetibili a rimembranze di antiche passioni. Gruppo di famiglia in apparente comunione d’intenti dal cuore che batte a vuoto alla stessa stregua di un woofer impazzito. Spazi limitati tra torrenti di inutili analisi con l’immutabile consistenza di un mondo immancabilmente intento a profondersi in riti fondati sul niente. Neri nastri adesivi che chiudono la barriera di spazio e di tempo tra l’essere e la sua viscerale volontà di non essere. Abissi che si aprono sotto i piedi di anime dagli sguardi disperati alla ricerca di una comprensione lungi da venire alla luce, celata nell’incavo dello stomaco. Presenze totalmente svuotate di palpiti umani di vita, che si nutrono di sensazioni a fior di pelle, di finte lacrime di disperazione, di profondi sospiri privi di fondamento, di pulsioni intermittenti, di discontinue crisi esistenziali determinate da una mancanza di identificazione con una realtà mutevole che varia di attimo in attimo la prospettiva di vita e costringe ad un precario adattamento aggravato da una condizione di autoreclusione volontaria. L’incapacità cronica di emergere dal grigiore del quotidiano è espressa con dialoghi banalizzanti tipici di chi ha smarrito il senso del reale. Di chi è costretto a barcamenarsi tra scelte che hanno come denominatore comune una totale mancanza di prospettiva determinata da un ruolo che porta l’individuo a navigare in desolati interni dal sapore di trappole mirate all’esaltazione ed all’autocompiacimento del dolore. L’individuo si trova così a fungere da portavoce di una banalità rivissuta ed idealizzata ad uso e consumo del proprio orgoglio. Woody dalla dicotomica presenzassenza stavolta colpisce basso spiazzandoci con riflessioni a carattere intimista che risentono di una nevrosi da famiglia americana affrancata da conformismi “nobody-bless-americaneggianti”. Non scevra peraltro da ambizioni filo-letterarie ammorbate da incombenti parvenze di malesseri pseudo esistenziali che traggono linfa vitale da incessanti monologhi di smarrito autocompiacimento atti a giustificare una volontaria segregazione alimentata dal motore di un disfacimento in fieri. Needless to say, l’atmosfera è olezzante di un aroma claustrofobico, anticamera di una desolata corrosione esistenziale tipica della deriva di un’anima vagante nei meandri dell’inutile assoluto. Vuote coscienze sono poste a confronto dalla mano implacabile del regista in un’obbligata ricerca di autolesionismo proteso a graffiare a vuoto il proprio immutabile io. Echi bergmaniani a parte, sono riconoscibili in generale inflessioni di stile che portano il regista a strizzare l’occhio ad un certo tipo di cinema europeo in generale ben codificato. L’urlo munchiano è qui piuttosto sommesso, emesso in punta di piedi, come si conviene ad un regista di trame agrodolci, per timore di veder rotto quell’isolamento in interni delimitati da un oceano mugghioso. I personaggi sono caratterizzati con inquadrature che denotano un certo distacco, quasi discrete nel voler custodire nel tempo la loro identità senza bisogno di frugare a fondo. Piani sequenza esterni in campi lunghi seguono placidamente la momentanea rilassatezza dei personaggi tra i riflessi di un lividume di mare torbido pronto a coinvolgere nel suo oblio la vittima sacrificale di turno inglobando in sé sogni ed illusioni. Capolavoro assoluto di Allen, dall’ultima triplice inquadratura che si apre su un finale di speranza, vero e proprio unicum nella sua produzione, tentativo di diversificazione stilistica giunto a perfetto compimento, completamente stroncato dallo svogliato pubblico d’oltreoceano, insensibile a quella sua profondità d’introspezione psicologica ed a quella efficace contrapposizione di interni ed ambiente circostante che la rendono un’opera degna della massima considerazione.

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