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Texas

Regia di Fausto Paravidino vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Texas

di degoffro
2 stelle

Domenico Procacci è un produttore intelligente e preparato che, solitamente, sceglie con cura ed attenzione i giovani talenti da lanciare nel panorama cinematografico. Purtroppo "Texas", esordio alla regia del ventinovenne Fausto Paravidino, apprezzato autore/attore teatrale, è alquanto deludente, approssimativo e maldestro. L'intenzione sarebbe quella di descrivere la monotona e rallentata vita di provincia in un paese del nord-ovest (la vicenda è ambientata a Ovada, in Piemonte), attraverso tre generazioni: gli anziani, i quarantenni e i ventenni/trentenni. Peccato che il regista sprofondi miseramente nelle sue ambizioni e presunzioni. Paravidino, che interpreta il ruolo di Enrico ed è anche sceneggiatore con Iris Fusetti e Carlo Orlando, (a loro volta attori nei ruoli di Cinzia e Davide), si perde in sequenze cacofoniche, confuse, eccessivamente urlate, specie nella prima parte letteralmente deprimente. In particolare sono fin fastidiose nella loro esagerata caricatura tutte le sequenze relative ai ritrovi del gruppo di amici ventenni/trentenni, presentati per lo più come dei ragazzini rin(cretini)ti, culminanti nell'orribile scena in cui il piccolo Albertino si ubriaca e i ragazzi fanno la battaglia con i ravioli freschi con tanto di ridicolo sfogo liberatorio di Elisa, la ragazza che presta sempre la casa per le feste. L'autore si limita inoltre ad abbozzare le storie ed i caratteri così che le prime risultano per lo più anonime ed infantili, i secondi fin troppo parodistici e macchiettistici (su tutti il papà Baretti, candidato sindaco decisamente folcloristico). Il peggio, però, da un punto di vista narrativo, viene raggiunto nel finale quando dapprima Maria, vestita da prostituta, va in cerca dell'amante Gianluca con...il suocero, poi lo sfigato del gruppo abusa sessualmente dell'amica (una parentesi del tutto gratuita ed irritante), infine marito e amante di Maria si ritrovano in piazza l'un contro l'altro per un ipotetico duello simil western (eh già siamo in Texas...). Imbarazzante infine quando Sandro e Gianluca, riappacificati, raggiungono Cinzia a casa e, mentre la ragazza è abbracciata alla madre, Sandro le dice quasi orgoglioso "Poi non l'ho ucciso!": ma come si fanno solo a pensare questi dialoghi e queste scene che solo sulla pagine scritta griderebbero vendetta!. Paravidino in questo modo non riesce nemmeno a dare una chiusa convincente e plausibile alle varie, faticose, vicende, così che tutto rimane sospeso, in superficie, poco coinvolgente (una sola sequenza bella e realistica, quella in cui Maria e Sandro chiacchierano affettuosamente e civilmente sull'altalena), spesso pretenzioso e teatrale, comunque ovvio e velleitario, del tutto incapace di dire qualcosa di nuovo e originale su un tema peraltro già fin troppo abusato, e non solo dal nostro cinema. Gli attori, di conseguenza, si adeguano all'andazzo assai modesto: così Valeria Golino si difendicchia con il suo consolidato mestiere, il bel Scamarcio si sforza di dare una certa credibilità ad un personaggio piuttosto risaputo e semplicistico. Il resto del cast, invece, è piuttosto parrocchiale. Un ritratto che non riesce mai ad essere incisivo ed appassionante, anzi spesso sbanda in modo pericoloso e grossolano, giungendo a conclusioni telefonate, trite e banali (quel metaforico finale nella neve, tra i filari delle viti). E la artificiosa struttura a ritroso (si parte dalla fine per poi spiegare il tutto attraverso continui flashback) certo non aiuta. Lo smarrimento e il malessere che si vorrebbero trasmettere suonano tanto di riporto e programmatici. Vorrebbe essere un fedele specchio della realtà, rischia involontariamente di esserne la pacchiana scimmiottatura. Più che mostrare il nulla della provincia italiana "Texas" rischia così di essere il nulla. Inutile scomodare "l'iper realtà di Hopper, la nostalgia di Amarcord, il cinismo di Lynch e Cecov" (Maurizio Porro): qui si fa fatica a vedere persino l'ombra di Gabriele Muccino di cui si prende solo il peggio (leggi le scene gridate ed esagitate). Molto meglio rivedersi il brillante ed ancora freschissimo "Ovosodo" di Paolo Virzì, peraltro citato/copiato esplicitamente nell'inutile personaggio che ripete tutti i nomi degli Stati Uniti d'America a suon di rutti (ma anche nella voce over), o "Radiofreccia" ben più felice e sincero esordio alla regia di Ligabue, anche lui, guarda caso, della scuderia Fandango. Apprezzato misteriosamente da tanta critica, al box office, nonostante Scamarcio, ha fatto flop. Non sempre il pubblico ha torto: in questo caso il pollice verso è stato un atto dovuto. In colonna sonora "The crying game". Dedicato al papà Gianfranco morto nel 2005. Presentato in pompa magna dalla Medusa/Fandango alla 62° Mostra del Cinema di Venezia (dove ha vinto il premio Pasinetti) con tanto di polemica dei produttori perché il film non era stato selezionato per il concorso ufficiale (va beh....) Nomination ai David di Donatello e ai Nastri d'argento per il miglior regista esordiente (nuovamente va beh...)
Voto: 4

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