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Texas

Regia di Fausto Paravidino vedi scheda film

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La recensione su Texas

di spopola
8 stelle

Un'opera sincera e sentita che mette a nudo lo spaccato di una provincia italiana pericolosamente inclinata verso il nulla. La degradazione fisica e morale delle figure che la popolano è analizzata da una implacabile lente di ingrandimento che non fa sconti a nessuno e amplifica il senso di smarrimento di un’alienazione progressiva e inarrestabile.

Le meschinità, l'impoverimento culturale, i pregiudizi, la mancanza di prospettive decenti, la solitudine... le conflittualità generazionali irrisolte, i ripiegamenti sconfortati e impotenti... tutto messo a nudo con una analisi implacabile che parte con toni lievi, quasi goliardici ma non per questo meno incisivi e graffianti, per sfociare poi a un passo dalla tragedia: tre sabati nella vita senza senso e sbocco dei giovani di una provincia italiana ormai così perduta da essere davvero "ai confini con il Messico!!!" (Il Texas delle nostre anime). Un buon esordio quello di Fausto Paravidino con questo affresco non originalissimo, ma pungente e prezioso, che ha avuto il coraggio di fare un'operazione per molti versi controcorrente, ruvida, appassionata, profonda, forse non sufficientemente misurata (a volte può risultare addirittura eccessiva) anche "sbrindellata" se mi si passa il termine e si riesce a capire che cosa intendo.. e non è un giudizio in negativo questo, perchè vuole invece indicare una qualità che la caratterizza. Un'opera sincera e sentita, assolutamente non epidermica e scontata che offre una visione capace di evidenziare sotto l'implacabile lente d'ingrandimento della deformazione mediata dall'intelligenza, tanti piccolissimi particolari a prima vista insignificanti e secondari, ma che mettono a nudo uno spaccato davvero alienato, sul crinale pericolosamente inclinato verso il nulla definitivo e avvolgente, di questa degradazione fisica e morale,sottolinea con particolare crudeltà di intenti, la progressiva perdita della "conoscenza" , il disconoscimento delle proprie radici, il sottile razzismo indotto, la fuga verso una incomunicabilità sempre più assoluta che ci fa diventare estranei persino a noi stessi. E' storia di tutti i giorni, questa e riguarda ognuno di noi, volenti e nolenti: accentuata nella provincia desolata, ma sottilmente presente e implacabilmente percettibile anche nel caotico andirivieni senza senso che regola ormai il vivere quotidiano delle grandi città. E Paravidino e i suoi collaboratori, acuti osservatori, che vivono dall'interno i disagi e le incongruenze di questa discesa all'inferno senza ritorno, va oltre la fotografia che ferma l'istante, perchè riesce ad evidenziare fra le righe, con rigore e senza eccessive sbavature, anche le ragioni che stanno a monte, a farci capire davvero molte più cose di quanto può apparire da una veloce visione dei fatti di superficie... (ovviamente se siamo ancora capaci di mettere in movimento quella coscienza critica che spesso difetta e che il film tenta in qualche modo di solleticare con pertinenti provocazioni spesso al limite). Il film è una denuncia circostanziata del pressappochismo che da tempo governa e regola le nostre vite, della mancanza di ideali, delle inesistenti prospettive di lavoro che impediscono di immaginare persino il futuro, di aspirazioni che non è possibile nemmeno favoleggiare nei sogni nascosti e irraccontabili, perchè ormai "improponibili" da quanto risultano astratte, di una generazione perduta, di "valori" non trasmessi, di carenze educative e strutturali. Vedendo Texas, si intuiscono davvero con angoscia quali sono le molle, le ragioni di fondo che ci hanno portato al punto di non ritorno (speriamo che non sia cosi!!!) in cui ci troviano, come sono possibili certi fatti che sembrano soprenderci, certe anomalie ideologiche e comportamentali: veramemente lucido il disegno senza speranze e privo di chiaroscuri di questa deriva totale. Il problema vero però è che siamo ormai immersi cosi profondamente nella melma, ci sguazziamo così bene, che non riusciamo più a rendercene conto, è diventata il nostro habitat e non percepiamo più nemmeno le esalazioni pestifere che ammorbano l'aria spesso impedendoci di respirare. Non ci sembra possibile che quello specchio deformato rimandi delle immagini che sono proprio quelle del nostro quotidiano disimpegno, e stentiamo (o rifiutiamo) di riconoscerci o identificarci per difesa estrema, ma oggettivamente inutile e tardiva, nello squallore di queste esistenze di provincia che sono il paradigma stesso dello squallore delle nostre anime, delle nostre percezioni rifiutate che rappresentano la tomba dei nostri desideri e delle speranze: riconoscersi o identificarsi, significherebbe in qualche modo ammettere implicitamente la nostra disumanizzazione, il rimbecillimento progressivo favorito dai media e dai comportamenti, il dover consfessare che abbiamo intrapreso un percorso senza vie d'uscita a portata di mano senza valutare il rischio effettivo che stavamo correndo. Sorprendentemente maturo e attento il regista nel tratteggiare queste "normali esistenze al limite della decenza" (e non certo per loro diretta scelta e responsabilità), i loro sussulti, le loro cadute, le loro fragilità esistenziali. Ottima per altro anche la resa di tutti gli attori, sia i più famosi Scamarcio e Golino (coraggiosa scelta la sua per un ruolo molto difficile e insolito pieno di contraddizioni e di sussulti) che tutti gli altri spesso sconosciuti, ma attenti "creatori" di "psicologie" in perfetta aderenza con quello dei personaggi loro affidati, e questo nonostante alcune forzature nei toni generali della proposta, in parte credo dovute alla formazione teatrale dell'autore, che tende per questo ad accentuare la deformazione grottesca dei conflitti e delle psicologie, proprio in considerazione del diverso "peso scenico" che il linguaggio teatrale ha, con conseguenti diverse "calibrature", rispetto a quello del cinema, più immediato e diretto e inevitabilmente più "realistico". Insomma una gradita sorpresa questa: certamente il miglior film italiano passato per Venezia fra quelli già visionati-- e guarda caso... relegato in una sezione minore, forse perchè troppo scomodo negli assunti per essere visto nella competizione ufficiale. Paravidino è un regista che sembra avere le idee chiare: le sue storie non danno tregua, costringono a ragionare e per questo possono risultare scomode e impopolari(non mi riferisco ovviamente solo al film, ma anche agli scritti teatrali) e la tecnica di regia è già interessante, con spunti non tutti originalissimi, ma sempre risolti con personale spregiudicatezza, insomma un personaggio da tenere d'occhio che speriamo non sia costretto a languire nelle secche della nostra industria senza prospettive, perchè se il buondì si vede dal mattino.... potremo avere davver in futuro delle graditissime sorprese.

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