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La grande seduzione

Regia di Jean-François Pouliot vedi scheda film

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La recensione su La grande seduzione

di giancarlo visitilli
8 stelle

“Questa è la storia di uno di noi… in una casa fuori città, gente tranquilla che lavorava”. Inevitabilmente i versi memorabili del “Molleggiato” tornano alla mente già nel primo quarto d’ora di film. Sarebbero state le parole e la musica ideale per la bella storia che il regista francese, Jean-Francois Pouliot (collaboratore di Sergio Leone in Once Upon a Time in America), ha voluto raccontare nel suo film La grande seduzione, una commedia drammatica, presentata alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes, il 23 maggio 2003.
Ambientato in un piccolo villaggio di pescatori, Saint-Marie-La Mauderne, abitato da 177 abitanti, persone un po’ rozze e arruffate, costrette a vivere con gli aiuti governativi e gli assegni dei servizi sociali, il film ha tutte le caratteristiche essenziali della favola e di quelle storie di una volta, che nessun scrittore ci racconta più, ormai dai tempi dell’Acitrezza di Giovanni Verga.
Sarà la partenza del sindaco verso la grande città, a convincere Germain, un uomo semplice, a prendere in mano la situazione. L’unica fonte d’occupazione per tutti potrebbe essere quella di una piccola fabbrica di plastica, ma tale progetto potrà realizzarsi solo se è prevista nel villaggio la presenza di un medico. Quindi, sarà lo stesso Germain a preparare la terra e il terreno alla presenza di un giovane medico, che giunge a Sainte-Marie-La-Mauderne per soggiornarvi per un mese intero. A quel punto Germain, consapevole del fatto che quell’uomo costituisce per l’intero villaggio l’unica speranza di salvezza, si mette in moto per trasformare la piccola località in un villaggio da sogno, e soprattutto accogliente. All’insaputa del giovane dottore, gli uomini del villaggio riescono ad ottenere informazioni personali sul suo conto, grazie alla collaborazione delle loro stesse donne, trasformatesi per l’occasione in centraliniste imbranate e pettegole. Il tutto, semplicemente per riuscire a soddisfare ogni minimo desiderio del giovane medico e col tentativo di sedurlo. Come accade durante una pesca, in cui tutto il villaggio lavora armoniosamente e con accanimento allo scopo di convincere il medico che Saint-Marie-La Mauderne è il posto migliore del mondo.
Una sorta di combattimento a due fra Seduzione e Menzogna, sotto i cieli di Utopia, ma che durerà poco tempo. Fino a quando, nel rendersi conto di aver da troppo tempo convissuto con la bugia e la pura affabulazione, Germain e il resto del villaggio dovranno scegliere fra la fabbrica portatrice di nuovo lavoro e la loro integrità morale nei confronti dell’inconsapevole dottore.
Che bellezza: una sorta di ‘città ideale’. Ma non come l’aveva pensata e strutturata Campanella. Assolutamente. Gli abitanti di Sainte-Marie-La-Mauderne sono semplici, poveri, non conoscono i ritmi febbrili delle nostre città, la loro unica ‘catena di montaggio’ è rappresentata da una fila di uomini: c’è chi piega un foglio, chi apre una busta da lettera e chi, imbustato il foglio, richiude il tutto. Ognuno possiede una vitalità e una forza che li aiuta ogni giorno a rigenerarsi con l’aria pulita, il mare che li circonda e soprattutto con il loro desiderio di sentirsi ‘minoranza’. Per scelta. Convinti che “le persone autentiche non si trovano nelle grandi città”, sanno di dover lavorare anche quattordici ore al giorno, con la consapevolezza che alla fine ci sarà tempo per fare l’amore e abbandonarsi ai piaceri futili, come può esserlo quello di fumare una sigaretta. Ma ciò che è interessante di questo film è proprio l’idea di appartenenza ad un luogo, che fa in modo che tutti i loro bisogni e desideri siano all’unisono. Una sorta di racconto sull’Armonia, intesa come Democrazia che, a discapito dei grandi (o piccoli) discorsi di coloro che hanno il potere di decidere chi ha il diritto di cittadinanza o meno, non fa alcun riferimento a ciò che serve o non serve per sentirsi parte di una comunità di uomini, in cui l’unica identificazione possibile, che accomuna tutti è il riconoscersi necessariamente ‘stranieri’.
Giancarlo Visitilli

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