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Lilja 4-ever

Regia di Lukas Moodysson vedi scheda film

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La recensione su Lilja 4-ever

di supadany
7 stelle

Film dedicato, come espressamente riportato prima dei titoli di coda, ai milioni di minori nel mondo sfruttati dal commercio del sesso.

Titolo che conferma la capacità del regista svedese Lukas Moodysson di saper trattare l’universo dei più giovani, raccontandone le parti più dure/problematiche che raramente vengono prese in considerazione.

Lilja (Oksana Akinsjina) sogna di trasferirsi con sua madre negli States, ma finisce con l’essere abbandonata a se stessa in un desolato sobborgo di una cittadina dell’ex Unione Sovietica.

Le rimane vicino solo un giovanissimo amico, improvvisamente però si riaccendono le speranze quando conosce Andrej che sembra volerle veramente bene e che vuole portarla con se in Svezia.

Purtroppo nella sua nuova destinazione la aspetta una vita assai distante dalle sue aspettative.

 

 

Fresco di due titoli con capillare, ed in buona sostanza meritata, distribuzione internazionale (“Fucking Amal” (1998) e “Together” (2000)), Lukas Moodysson colpisce duramente nel profondo di anima e cuore affrontando tematiche importanti, mostrando gli anfratti più degradanti che si possano pensare (ed intuire dalla trama), lasciando comunque spiragli di speranza (anche non tangibili).

Quando non si ha niente nella vita, e quando ci si abitua a ciò, basta davvero pochissimo per trovare soddisfazione (un’amicizia di chi ti può/vuole capire), allo stesso tempo si è anche più facilmente vittima dell’entusiasmo quando qualcosa sembra poter cambiare sul serio.

Così che il futuro di Lilja col suo inaspettato ragazzo è scritto (forse anche troppo per lo spettatore), lei non può che vedere un luminoso raggio di luce, talmente irrealistico da farle pensare ad una favola (tanto attesa), ma che è destinato a trasformarsi in un buio perenne.

La prima parte della pellicola è essenziale e diretta, tra le macerie di un paese in rovina, col desiderio di una vita diversa, con vari piccoli frangenti riusciti, come l’incisione del proprio nome su una panchina, giusto per lasciare la traccia di un’esistenza della quale solo un reietto come lei può accorgersi.

Seconda parte onirico-catartica non sempre ben dosata (soprattutto per il primo caso), con il pensiero che va all’aldilà, tra il ripetuto sfruttamento (riprese in soggettiva continuativa delle scene di sesso che traumatizzano senza nulla mostrare) ed una morte frutto dell’indifferenza più totale, quando una vita non ha alcun valore per nessuno.

Bravissimi i due giovani interpreti, tra le altre cose da segnalare il folgorante brano “Meinz herz brennt” dei Rammstein eseguito due volte (una in apertura e non c’è modo migliore per iniziare).

Opera rilevante per contenuto, che richiede un notevole impiego di energie per affrontarla, dispiegata con qualche accento di troppo soprattutto sul finale, ma nell’insieme sicuramente meritevole.

Quando la vita è veramente uno scoglio invalicabile.

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