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Il quarantunesimo

Regia di Grigorij Ciukraj vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il quarantunesimo

di luisasalvi
6 stelle

L’avevo visto quando era uscito, e mi era piaciuto molto. Naturalmente… allora. Adesso meno. Durante la guerra civile russa un gruppo di bolscevichi sconfitti dai bianchi fugge nel deserto dove incontra un gruppo di mercanti kazaki; li attacca per confiscare alcuni cammelli; nell’attacco Maricka, unica donna del gruppo di bolscevici e miglior tiratrice, spara e uccide, contando orgogliosamente le sue vittime: è arrivata a quaranta, poi spara ancora ed esclama “quarantuno”, ma il quarantunesimo non muore, anzi, non è neppure ferito, alza bandiera bianca e viene fatto prigioniero perché risulta essere un ufficiale bianco latore di lettere e soprattutto di un importante messaggio orale per il comando dei bianchi. Viene affidato proprio a Maricka, per condurlo al comando bolscevico e sottoporlo a interrogatori.

Una sentinella si addormenta (e sogna o ricorda idilliaci paesaggi freschi, verdi, con acqua di torrenti) e non si accorge che i cammelli vengono rubati; la sentinella si autoaccusa e chiede di venire ucciso, ma il capo lo accoglie ancora nel gruppo in attesa del giudizio del comando.

La marcia nel deserto è estenuante, illustrata da immagine molto belle del deserto; molti soldati non ce la fanno e muoiono lungo il cammino, senza retorica, addirittura senza indugi: chi cade non si rialza e se ne vede già il mucchio di sabbia che lo ricopre, con il suo fucile piantato nella sabbia; ma su uno è posta una croce, tacito omaggio alla fede cristiana di un militante, nonostante l’ateismo ufficiale del bolscevismo. Il tenentino bianco resiste impavido, fra l’irritato stupore degli altri; alla sera parla di poesia con la sua guardiana, che scrive e gli recita una poesia sulla marcia che stanno facendo… un tipico esempio di “realismo socialista”, una esaltazione molto retorica e per nulla poetica della lotta rivoluzionaria; il bel tenente le spiega che anche per scrivere poesie ci vuole studio e preparazione tecnica. Come per fare film, sembra suggerire il regista Ciukraj, che di preparazione tecnica ne ha e che si schiera apertamente sulla linea del “disgelo” seguito alla morte di Stalin.

Finalmente il gruppo arriva al lago d’Aral (che allora era ancora un vero lago; molto meno al tempo del film; ora quasi ridotto a deserto di sale, catastrofe ecologica voluta, cui ora si cerca di porre qualche rimedio); scene idilliache e folcloristiche di vita di una tribù, con musiche locali. Poi Maricka viene inviata su una barca, assieme al prigioniero e a due compagni, per arrivare prima al comando. Ma una tempesta rovescia la barca, i due compagni muoiono, Maricka si ritrova sola su un’isola assieme al suo prigioniero improvvisamente deboluccio, poi gravemente malato, in delirio; niente di meglio per far prorompere un amore che già stava covando. In nome del disgelo ci si può innamorare anche di un nemico, se questo è malato; ci si può anche spogliare per fare asciugare gli abiti al calore del fuoco, con le dovute considerazioni contro le ipocrisie della morale borghese, e dimenticando i diversi moralismi sovietici che fino a pochi anni prima (del film, non delle vicende narrate!) denunciavano le immoralità pornografiche dei film del capitalismo.

Addirittura, il tenero tenentino, sfebbrato, può esaltare un futuro di pace senza guerre fra diversi popoli o classi sociali o ideologie. Bei discorsi, accattivanti, pericolosissimi. Per fortuna Maricka riconosce il pericolo, si scatena contro il cinismo di chi bada solo al proprio interesse ignorando le sofferenze dei popoli oppressi e sfruttati. Infatti intanto i bianchi stanno cercando il tenente che doveva portare loro il messaggio importante, arrivano allo stesso villaggio sereno e pacifico in cui erano arrivati i bolscevichi con il loro prigioniero, e dimostrano la loro mancanza di umanità con comportamenti violenti, opposti a quelli umani dei rossi. Disgelo sì, ma non esageriamo. Neppure dall’altra parte dell’Atlantico si è disgelato di più a favore dei rossi…

Insomma, la conclusione è ovvia, inevitabile: arriva una barca, si scopre che è dei bianchi, il tenente corre felice verso di loro e non ascolta i richiami imperiosi della sua amante amata nemica, che a sua volta si sente tradita come bolscevica e come amante e spara: il quarantunesimo, che il destino aveva salvato all’inizio per consentire il film, ora cade con il nome di lei sulle labbra, e lei si abbandona in lacrime sul corpo di lui. FINE.

Fotografie sempre belle, a volte troppo ricercate, retoriche, ad accompagnare le vicende (melo)drammatiche, spesso in contrappunto: dolci serene morbide dune in cui cadono uno per uno gli stremati assetati fuggitivi; onde impetuose e nuvoloni alternati agli approcci amorosi; spiagge tranquille mentre i due si feriscono a colpi di ideologie contrapposte. Queste, poi, piuttosto forzate, con cambi innaturali funzionali al dramma corneliano fra amore e dovere; ma già in Corneille il “dovere” aveva un sapore piuttosto burocratico, anche se vinceva sempre: dietro al dovere si vedevano interessi meschinelli. E qui? Maricka appare rigidamente fanatica, ingenua e ripetitiva nel suo entusiasmo, mentre lui si dice stanco di guerre… anche se portava un messaggio segreto importante, che andrebbe affidato a un combattente più convinto; e comunque lui rifiuta di parlare… La prima parte è incoerente con la seconda, sia come stile sia come vicenda sia come presentazione psicologica dei due protagonisti; certo, si vuole mostrare come l’innamoramento faccia cambiare radicalmente una persona… in meglio o in peggio? In modo definitivo o solo provvisorio, come una ubriacatura da superare?

I temi sociali e politici e sentimentali ed estetici proposti dal film sono molti, ci sarebbe da discuterne a lungo, anche riconducendoli all’epoca del disgelo. Se ne discuteva già quando è uscito il film. Così come già allora erano assai diversi i giudizi estetici, fra chi lodava la prima parte e criticava la seconda e chi viceversa. E quelli morali e politici. Criticato dai veterocomunisti per le sue libertà inammissibili al tempo di Stalin, ma anche dai veterocattolici che dominavano il CCC sentenziando esemplarmente: “il film è impostato su motivi di propaganda comunisteggiante: a ciò si aggiungono i rapporti tra i due protagonisti sull’isolotto e l’omicidio finale. La visione del film è quindi da sconsigliare”. Io invece la consiglio, mi pare molto interessante, nonostante le numerose pecche, sia strutturali sia di trattamento dei dettagli, con un testo schematico e ingenuo accompagnato da immagini troppo spesso freddamente accademiche, anche se belle.

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