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La zona d'interesse

Regia di Jonathan Glazer vedi scheda film

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La recensione su La zona d'interesse

di mck
10 stelle

Campo. La ragazzina col vestito infrarosso che scava nel mucchio dell'umano concime per nascondervi calorie. Controcampo. L'utile idiota in giardino a isolare le cuscute migliori. Fuoricampo. Szmul Zacharias, che ascolta gorgogliare il ribollente Prato di Primavera. (Gli umanoidi di Under the Skin hanno vinto e dominano il mondo facendone macello.)

 

 

Lo sguardo – il medio-periferico campo visivo binocular-frontale umano copre all’incirca 120° sul piano dell’ascissa e poco di meno sulla verticale dell’ordinata – si può stornare con relativa discrezione dettata da una parte dalla vergogna e dall'altra da opportunismo e convenienza, aiutandosi anche con altri 90° per lato messi a disposizione grazie all’agire più evidente del collo, così come il corpo tutto ruotandolo di 180° sui talloni facendogli fare senza più alcun pudore dietro-front, oppure lo si può sbarrare completamente spalancando gli occhi sino a renderli "wide shut", apertamente chiusi, macchine da presa celibi in dote a cadaveri ambulanti, e d’altro canto si può impedire all’orizzonte stesso, oggetto della cancellazione in atto, di entrare nell’immagine in falso movimento processata dal cervello limitandone e circoscrivendone l’esperienza con paraocchi, sipari e muraglie indossati, disposti ed erette allo scopo o dotando loro di una seconda funzione derivata.   
Invece l’udito e l’olfatto no. Non esistono scuri, guarnizioni e paraventi che tengano. I suoni e gli odori viaggiano. Non danno scampo al presente (passato, odierno, futuro), al dis-interesse, incistandosi nella Storia come ripugnanti, rivoltanti, repellenti madeleine che ci riportano alla mente, impietose, cose che sappiamo già.

 

 

(Letteratura.)

Ed è vero quel che si dice, qui nel KL: "Nessuno conosce sé stesso." Chi sei tu? Non lo sai. Poi arrivi nella Zona d'Interesse, e lei ti dice chi sei.

 


• Campo.
La ragazzina col vestito infrarosso che scava nel mucchio dell'umano concime per nascondervi calorie.

I picchi picchiettano, i fringuelli fringuellano, gli usignoli usignoleggiano, gli uccelletti tutti augellano in sperticati cori di richiamo/disputa sessual-territoriale, i fiori fioriscono in primaverile florilegio celestrino (gli altri persistono oltre il lutto personale) e i treni ciufciuffano lacerando il quadro/fotogramma mentre disegnano la linea dell’orizzonte oltre un fronte di mattoni o d’alberi: οiδα.

 


Modern Times.
Interlacciati alle ligeti-pendereckiane musiche scritte e orchestrate da Mica Levi (collaboratrice del regista sin dai tempi di “Under the Skin”), i rumori (brulicanti ciangotii d’ingranaggi biologici in spettrale vociferazione) del sound design industriale (non poteva essere altrimenti: di fabbrica fordiana stiamo parlando: “È stato dai mattatoi di Chicago che i nazisti hanno imparato a lavorare industrialmente i corpi.” – J.M. Coetzee, "the Lives of Animals", 1999) in onnipresente background raccolto e strutturato da Johnnie Burn e Tarn Willers rendono l’esperienza (“dispiace solo che debba essercene così tanta”, per dirla col Kingsley Amis riportato dal figlio Martin nel memoire autobiografico che porta il titolo di, per l’appunto, “Experience”) ineluttabile: un close-up aclockworkorangesco.

 

 

Fotografia (macchine fisse à la Big Dumb Brother, come già in alcuni frammenti di “Under the Skin”, e anche, però, un paio di carrellate su... binario, ché nel gorgo dell'infame tragedia ogni parola ferisce) di Lukasz Zal (“Ida”, “Loving Vincent”, “Dovlatov”, “Cold War”, “I'm Thinking of Ending Things”), montaggio (in alcuni frangenti e momenti ipercinetico) di Paul Watts (sodale del regista) e scenografie (egemonicamente/filologicamente pre-brutaliste) di Chris Oddy (che già aveva arredato/alienato “Under the Skin”).

 

 

• Controcampo.
L'utile idiota in giardino ad isolare le cuscute migliori.

 

LebensRaumInteressenGebiet: un'area "cuscinetto" [un alibi che la popolazione tedesca – composta (tanto quella rimasta su suolo germanico quanto quella andata ad occupare le nicchie ecologiche di quella autoctona polacca evacuata e sgomberata) non da mostri, ma da "esseri umani medi, fatti della nostra stessa stoffa", per parafrasare il Primo Levi de "i Sommersi e i Salvati", che si riferira nello specifico ai carnefici veri e propri e non ai più comuni volenterosi al meglio indifferenti, ai quali riserva però una puntualizzazione: "dev’essere altrettanto chiaro che dietro la loro responsabilità sta quella della grande maggioranza dei tedeschi" – non avrebbe potuto sbandierare in alcun modo] di 40 km² attorno ai confini del lager, per un raggio di circa 3,5 km.

 

Sdretsab Suoiruolgni.
“A dirti la verità non stavo prestando troppa attenzione. Ero troppo occupato a pensare a come avrei potuto gasare tutti quanti in quel salone.” 

 


2001: a Space Odyssey. (Love Story.)
Un campo-controcampo ur-kubrickiano: come David Bowman nella settecentesca stanza rococò che osserva l’incanutito sé stesso in procinto di rinascere, Rudolf Höss [Christian Friedel (che, a latere, di suo porta in dote al pubblico italiano un’incolpevole quanto inquietante rassomiglianza lombrosiana col ministro dell’agricoltura Lollobrigida), accanto al quale spicca la prestazione corporale - a cominciare dalla mimetica andatura contadino-montanara - di Sandra Hüller (“Toni Erdmann”, “Proxima”, “Anatomie d'une Chute”), unico altro personaggio in “primo piano” del film, che in fondo altro non è che una storia d’amore (con - “Maybe Esther Silberman is over there... The one I used to clean for...” - suocera: Imogen Kogge) come tante] è sorpreso dall’altrui futuro creato(si) nell’atto di non-osservarlo da uno spioncino per interposta caterva immane di cadaveri.

 


• Fuoricampo.
Szmul Zacharias, che ascolta gorgogliare il ribollente (le zolle erbose che si alzano e si spaccano per la spinta sotterranea dei gas prodotti dal processo di putrefazione dei pezzi dei corpi umani - maschi e femmine, vecchi e bambini, alti e bassi, grassi e magri -  maciullati e sepolti prima di dare tutto in pasto alle bocche dei forni) Prato di Primavera.

Idí i Smotrí / Idzí i Hljadzí.
Jonathan Glazer, eliminando i PdV diretti ed empatizzabili (chi ha letto il romanzo di Martin Amis può “giocare” a immaginarseli - cercarli e ritrovarli - l’uno nelle truppe in adunata e l’altro nei gruppi in marcia forzata) di Angelus “Golo” Thomsen (la rotellina) e il sonderkommandofuhrer Szmul Zacharias (il corvo del crematorio, la cui figura, insostenibilmente tragica in assoluto, risulta in generale letteralmente e in particolare cinematograficamente "irrappresentabile", se non per l'appunto leggendone e "quindi" filtrandola attraverso il proprio processo di interpretazione, ricostruzione ed immaginazione), crea il vuoto: tocca allo spettatore riempirlo col materiale più bello e terribile: un po’ di sé. Ciò che ne sgorgherà (con radici ben piantate nel passato: "Das Weiße Band - Eine Deutsche KinderGeschichte") è il futuro.

 

 

La Grande Bouffe.
Una vertebra lombare sul fondo della Sola/Vistola.


(Cinema.)
- Che cos’ha fatto?
- Litigava per una mela, Comandante.
- Annegatelo nel fiume.

 

(Letteratura.)

- Stavo pensando... C'è qualcosa che non gli facciamo? Non li stupriamo, immagino.
- Piú o meno. In compenso facciamo qualcosa di molto più brutto. Dovresti imparare a portare un po' di rispetto ai tuoi nuovi colleghi, Golo. Qualcosa di molto, molto piú brutto. Prendiamo le belle donne e ci facciamo degli esperimenti medici. Sugli organi riproduttivi. Le trasformiamo in un branco di vecchine. Poi la fame le trasforma in un branco di vecchietti.
Ho detto: - Sei d'accordo che non potremmo trattarli peggio?
- Oh, andiamo. Non li mangiamo mica.
Ci ho pensato un momento. - Sí, ma loro non avrebbero niente in contrario. Salvo se li mangiassimo vivi.
- No, quello che facciamo è spingerli a mangiarsi tra loro. Su questo sí che hanno qualcosa in contrario... Golo, chi, in Germania, non pensava che gli ebrei andassero rimessi a posto? Però, cazzo, questo è ridicolo.

 


Schindler's List / Saul Fia / FairyTale.
Gli umanoidi (semi/para-cannibali) di “Under the Skin” – che già era, a suo modo, un’opera su di un (altro) olocausto in farsi: l'occhio-incipit di quel film è lo spioncino-excipit di questo, in cui la posttenebrasluxiforme lallazione ha lasciato il posto a un emetico...

 

[nonostante l'etimo (conatus: azione diretta a conseguire un obiettivo difficile, il cui esito non è scontato), qui applicato al vomito, il rapporto di causa-effetto operato dal montaggio tra la breccia apertasi verso il futuro e l'attacco di rigetto gastrico a stomaco vuoto pare troppo diretto ed esplicito: resta un finale ovviamente ambiguo e multinterpretabile (escludendo a priori ogni riferimento a "barlumi di coscienza", quando persino l'opzione "burnout" derivata dal lavoro a cottimo lo umanizzerebbe troppo), ma il fatto che abbia scorto sé stesso penzolare dal proprio patibolo mi pare, ecco, "preferibile"]

 

...silenzio – hanno vinto e dominano il mondo facendone macello. A combatterli, oltre agli Alleati, anche, tra gli altri, Aleksandra Bystron-Kolodziejczyk, una moderna Gretel grimmiana, sineddoche partigiana di una possibile salvezza in caso di Giorno del Giudizio Universale, che trova...

 

 

...un foglio di carta piegato e ripiegato varie volte a fisarmonica sino a renderlo stretto, sottile e "invisibile": è un componimento poetico accompagnato da uno spartito musicale fuoriuscito dal Lager.

 

 

Ma è poi la medesima ragazzina quella che lo suona al pianoforte? Logica e "buon senso comune" voglion far creder di sì (il forzato campo medio non aiuta a decifrarne l'identità), ma le due abitazioni paiono un bel po' diverse dalla notte al giorno... Il dubbio promana e permane. Certo è che il frammento è giunto...

 

 

...sino a noi, assieme al suo autore, Joseph Wulf [la cui voce reale è, forse per (troppo?) pudore herzoghiano (Grizzly Man, the White Diamond), traslata a scritte sovrimpresse sullo schermo], soppravvissuto al campo di concentramento e sterminio, ma, come tanti altri temporaneamente "salvati", non al "postumo" suicidio, allessere "sommerso" comunque: “Raggi di Sole” - Oswiecim, Auschwitz III (Monowitz), 1943: https://collections.ushmm.org/search/catalog/irn671467.

 

 

(Letteratura.)

È il fuoco, capite, è il fuoco.
Come farli bruciare, i corpi nudi, come fare in modo che prendano?
Abbiamo cominciato con cumuli assai modesti, servendoci di assi di legno, senza concludere granché, ma poi Szmul... Sapete, ora capisco perché il Sonderkommandofuhrer ha una vita fortunata. È stato lui a dare una serie di suggerimenti che di fatto si sono rivelati determinanti. Li metto per iscritto, per futura consultazione.
1) Il rogo dev'essere uno solo.
2) Il rogo deve ardere ininterrottamente, per 24 ore.
3) Il grasso umano liquefatto dev'essere usato per favorire la combustione. Szmul ha organizzato i canali di deflusso e le squadre di aggottamento, il che oltretutto si è tradotto in una notevole economia di benzina. (Promemoria: notificare questo risparmio a Blobel e Benzler).
A questo punto c'è un'unica difficoltà tecnica cui periodicamente occorre far fronte. Il fuoco è talmente caldo che non ti puoi avvicinare, nicht?
Ora, ditemi voi, questo è davvero esilarante, questo, questo davvero «vince la palma». Tutt'a un tratto il telefono si fa rovente: Lothar Fey della Difesa Aerea, che protesta furioso, pensate un po', contro le nostre conflagrazioni notturne! C'è da stupirsi se vado fuori di testa?

[...]

Quanto al miglior modo di contarli, il Sonderkommando-fuhrer aveva ragione. Non i teschi. Pressoché tutti i pezzi sono stati liquidati con il consueto Genickschuss, ma spesso in modo maldestro o frettoloso, per cui il colpo gli ha frantumato il cranio. I teschi sono quindi inaffidabili. La procedura piú scientifica, abbiamo accertato, è quella di contare i femori e dividere per 2. Nicht?

 

 

• Ipercampo. (Chissà.)

 

«È vero che Kraus scrisse: “A proposito di Hitler non mi viene in mente nulla”. Ma era la prima riga di un libro su Hitler e i nazisti.» - Jonathan Franzen, “the Kraus Project”, 2013.

Shoah/Austerlitz.
Rimane il rumore bianco degli aspirapolvere del tempo (W.G. Sebald & Sergei Loznitsa). E poi verrà la Pace di Presburgo, la Conferenza di Jalta e il Piano Marshall. O invece, chissà, un altro gran bel Trattato di Versailles. E forse un po’ di vernice s/di-lavabile lanciata a monito climatico-ambientale contro le vetrine delle teche a protezione del mucchio di cascami, lacerti e rigaglie depredate, raccolte e conservate da qualche futuro in attesa, chissà.

Nuit et Brouillard / Pasazerka.
Sono solo grato che ad un certo punto sia finito.
Ma chissà che un giorno (non) possa rivederlo accadere/capitare/succedere ancora una volta, di riflesso, proiettato nuovamente nel reale, chissà.

 

 

E che infine - al di qua dello schermo, fuori dalle sale, per le strade e al di là dei mur(etti)i con le tegoline che ci riparano dall'Oltre - scenda l'oblio (non) possa costituire un'opzione valida per la Soluzione Finale al problema costitutivo della & costituito dalla specie umana...

 

 

Campo. La ragazzina col vestito infrarosso che scava nel mucchio dell'umano concime per nascondervi calorie. Controcampo. L'utile idiota in giardino ad isolare le cuscute migliori. Fuoricampo. Szmul Zacharias, che ascolta gorgogliare il ribollente Prato di Primavera. Ipercampo. Gli umanoidi di “Under the Skin” hanno vinto e dominano il mondo facendone macello.

 

* * * * ¾ - 9.5        

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