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L'ultimo Capodanno

Regia di Marco Risi vedi scheda film

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La recensione su L'ultimo Capodanno

di GIANNISV66
7 stelle

Eccessivo, parodistico, grottesco e chi ne ha ne metta. La trasposizione cinematografica della filosofia della "gioventù cannibale" fu un flop assoluto ma con il tempo è assurta al rango di cult assoluto. Da riscoprire!

Alla fine degli anni 90 del XX secolo l'ombra lunga di Tarantino aleggiava sul mondo della settima arte, il successo di Pulp Fiction caduto proprio a metà di quel decennio aveva fatto scuola e influenzato il modo fare cinema anche in casa nostra. Non è un caso dunque se nel 1998 uscì nella sale questo L'Ultimo Capodanno, film dalle grandi ambizioni ma dallo scarso successo, di cui in questi anni molto si è parlato ma che assai poco si è visto.

Marco Risi, figlio del talentuoso Dino, trae ispirazione dalla scrittura di Nicolò Ammaniti e insieme allo stesso, partendo dal racconto “L'ultimo capodanno dell'umanità” crea un'opera che è il trionfo del grottesco e dell'eccessivo, una rappresentazione allegorica di una società ipocrita e perbenista che dietro la facciata ben curata nasconde perversioni assortite e desideri squallidi.

 

Il condominio romano in cui si svolge la storia è, ovviamente, la metafora di tutto quanto sopra: ci si preparano per festeggiare il capodanno e lo si fa cercando di migliorare l'aspetto esterno secondo il dogma per cui conta solo la (bella) apparenza, quando poi un susseguirsi di eventi disastrosi riveleranno quella che è la (pessima) sostanza.

E così abbiamo l'anziana contessa che organizza una festa per una scelta platea di appartenenti all'alta borghesia con aggiunta di gigolò prezzolato per per la propria soddisfazione, l'avvocato di alto livello che deve fermarsi per far fronte al troppo lavoro mentre la famiglia si trova in vacanza in rinomata località sciistica, la famigliola per benino con moglie devota, nonno austero e bambini perfettini, il cui capofamiglia ha il vezzo delle auto d'epoca (altro particolare che denota una certa agiatezza economica), un'altra famigliola capeggiata da una giunonica matrona d'altri tempi che vorrebbe coinvolgere un figlio riluttante nei festeggiamenti ed infine la splendida Giulia alle prese con le ansie dovute alla preparazione di una cena per amici tutti belli e molto ”fashion”.

Tutto però viene stravolto con crudeltà quasi cannibalesca (non poteva essere altrimenti, Nicolò Ammaniti era stato uno dei nomi di spicco dell'antologia datata 1996 “Gioventù Cannibale” con cui Einaudi diede spazio a un gruppo di scrittori emergenti sotto la cifra stilistica dell'eccessivo,del grottesco e dell'assurdo fino al Pulp – eh sì alla fine si arriva a Tarantino) e crollato lo stucco delle apparenze e della luminosità appare la realtà sordida e meschina.

Succede dunque che la Contessa (Maria Monti) si ubriaca e mostra i segni devastanti dell'età, lo gigolò dai modi affettati (Giuseppe Fiorello) nasconde una provenienza dai bassifondi e proprio da quelli arrivano una torma di amici (o presunti tali) che mettono a ferro e fuoco l'appartamento, e nel farlo distrugge l'auto d'epoca della famigliola che, lungi dal chiamare le forze dell'ordine come vorrebbe il buon senso, decide di partire con la vendetta personalizzata (compreso il nonno); che il distinto avvocato (Alessandro Haber) nasconda un'anima sadomaso e (altro che lavoro e riunioni noiose) si faccia raggiungere da una prostituta per dedicarsi al bondage e giochi assortiti finendo però nelle grinfie di tre ladruncoli che lo colgono sul fatto (ovvero mentre si fa orinare addosso dalla gentile signorina dal nome d'arte peraltro molto significativo di Sukia, forse una citazione di pop culture, visto che era il nome di una serie di fumetti piuttosto trucidi, sempre per stare in linea con lo spirito Pulp); che la matrona (Iva Zanicchi) non riesca a coinvolgere il figlio (Claudio Santamaria) anche perché questo si è barricato in camera con un amico (Max Mazzotta) ed un unico scopo: procurarsi droga e sballarsi fino ad andare fuori di testa (cosa che ai due riuscirà benissimo).

Ed infine che la splendida Giulia (Monica Bellucci che sembra fare le prove generali per Irreversible) scopra che il maritino molto sportivo e sicuro di sé (Marco Giallini) la tradisce con un'amica (Francesca D'Aloja) e diventa una Lady Vendetta che avrebbe fatto la gioia di Park Chan-wook (e qui si apre il grande interrogativo di questo film: ma come fa uno che ha in casa la Bellucci ad invaghirsi della D'Aloja che per carità avrà il suo perché ma una come la Monica non la vede manco col cannocchiale! Vabbè pure sta recensione sta diventando Pulp, perdonatemi).

Il tutto in un trionfo di violenza talmente eccessivo e fuori da ogni logica da diventare parodistico e che trova la sua giusta conclusione in un finale tanto devastante quanto assurdo: senza svelare nulla, diciamo che i due tossici trovano una improbabile caldaia nel seminterrato, funzionante in palese violazione di qualunque elementare norma di sicurezza, e in preda al loro trip vedono pure l'ingegnere norvegese (!?!?) che l'aveva progetta decenni prima e che in quella caldaia si era suicidato.

 

Al di là di chiavi di lettura sulla critica antropologica a una società dominata dall'ipocrisia e dal perbenismo, che ci vuole belli e perfettini e se ne frega se invece sotto il bel vestito siamo marci come la fogna, quello che si rileva è che L'Ultimo Capodanno con tutta questa sovrastruttura di eccessi appare certamente improbabile ma anche molto affascinante. Considerato che il pubblico era impazzito pochi anni prima per un film che aveva la stessa cifra stilistica (e siamo di nuovo dalle parti di Tarantino) viene da chiedersi perché non abbia avuto, non dico altrettanto successo, ma almeno un buon riscontro.

All'uscita fu un flop clamoroso ma oggi è un grande cult, considerato anche lo strepitoso cast messo su da Risi (con attori come Giallini e Santamaria che erano dei semisconosciuti ma sarebbero diventati dei pilastri del cinema di casa nostra)

Sarebbero tre stelle ma come parziale risarcimento a regista e sceneggiatore gliene do mezza in più.

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