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Un mondo di marionette

Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film

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La recensione su Un mondo di marionette

di Aquilant
8 stelle

Peter e Katarina Egerman compaiono inizialmente nella sequenza d’esordio di “Scene da un matrimonio”, interpretati da Bibi Andersson e Jan Malmjo (qui sostituiti da Christine Bucheger e Robert Azton), ma la loro storia non è altro che la riscrittura di un precedente progetto bergmaniano prematuramente abortito, “Amore senza amanti”.
“Il tema di due persone che sono unite in modo indissolubile e doloroso e nello stesso tempo si consumano nel loro carcere, mi ha seguito a lungo,” scrive Bergman. “Peter e Katarina non possono vivere insieme, ma non possono fare a meno l’uno dell’altra. Vi sono tra loro continue, crudeli ripicche che soltanto persone nella loro situazione possono inventare. La loro convivenza è una sofisticata danza di morte, una progressiva disumanizzazione.”
La pellicola è chiaramente ispirata a Fassbinder ed alla Nuova filmografia tedesca in generale. Lo si intuisce dal diffuso squallore delle immagini, dalle ambientazioni dichiaratamente claustrofobiche (persone che “soggiornano in una stanza ermeticamente chiusa senza alcuna fessura”) e dalle crude ed esplicite immagini con le quali è raffigurato l’ambiente della prostituzione. Il tutto in evidente stato di abbandono e condito da tematiche che affrontano a viso aperto il tema dell’omosessualità, già contemplato in precedenza in un primo progetto del “Rito” (il cui incipit contemplava la presenza di due omosessuali in piedi presso una finestra intenti a rispolverare l’antico rito dell’elevazione), ma poi messo definitivamente da parte.
Le continue disquisizioni sull’anima qui presenti ci rivelano che il problema spirituale non è mai stato accantonato in Bergman, anche se specie nelle sue opere della maturità esso viene messo a tacere sotto un robusto strato di calcolato cinismo e di mistificante insensibilità. I personaggi di un tale mondo scarnificato di qualsiasi essenza spirituale hanno costantemente trascurato la cura dell’anima ma non se ne rendono conto neppure nel momento in cui cominciano a soffrire diffusamente. Nonostante la cruda evidenza di una palese quanto repentina smascheratura, essi continuano a vivere la loro vita rappresa nel niente, ma appaiono ai nostri occhi realmente come delle marionette o, più propriamente, come dei veri e propri cadaveri viventi in via di disfacimento interiore che nonostante tutto scelgono di proseguire ad libitum nel loro ritmo impervio di vita ignorando d’essere già virtualmente defunti. Ma è solamente al momento di mirarsi allo specchio che l’evidenza faticosamente celata allo sguardo viene rimessa alla luce in tutto il suo orrorifico splendore. Ed ecco che tali boccheggianti presenze si scoprono già vecchie e devastate dal tempo, comprendendo in pochi fatidici momenti di essere guidate inconsciamente da cieche forze segrete che eludono ogni tipo di controllo, per l’appunto come delle vere e proprie marionette. “Forse si comincia piangendo, un pianto che è sempre così strano quando prorompe, “recita Christine Bucheger, “quindi ci saranno gemiti terribili di disperazione e scoraggiamento e poi grida disperate ripetute all’infinito!”
Ed in quel repentino rendersi conto dell’inconciliabilità di due realtà antitetiche tra loro, vale a dire la spensieratezza della vita e lo spettro di una morte incombente, esse si struggono e lentamente si consumano, vere e proprie anime in una totale deriva, come l’immagine finale di Peter all’ospedale, ad esempio, una marionetta che una volta privata delle valvole di sfogo assegnategli dall’ambiente in modo preordinato va incontro ad una vera e propria catastrofe nel suo approccio con un mondo esterno che non gli è congeniale, preda di un corto circuito emotivo che mette in moto la cosiddetta “slavina degli istinti” facendogli infrangere tutte le barriere poste a sua difesa personale.
“Se non c’è l’io non c’è paura”, recita l’assioma bergmaniano di turno, e nel mettere fuori uso il proprio sistema autoannullandosi in un groviglio di sangue, carne e nervi, l’uomo sceglie di reagire all’insolubilità dialettica nei propri rapporti con la realtà circostante ad essa sottraendosi e troncando ogni legame con l’esterno. Ed è l’atto finale della caduta. Con Fanny e Alexander sarà poi tempo di consuntivi. E di un’altra pagina da riempire a tempo debito.

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