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No Smoking

Regia di Alain Resnais vedi scheda film

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La recensione su No Smoking

di Aquilant
6 stelle

Celia Teasdale riesce a resistere al suo improvviso impulso di accensione per sua e per nostra fortuna. Ed ecco scaturire dal nulla un avvolgente ventaglio di situazioni che s’intersecano tra loro e si diramano in mille canalizzazioni diverse allo scopo di sviscerare le più svariate sfaccettature del carattere umano e a decretare nel contempo un felice connubio tra cinema e teatro, ciascuno dei due asservito all’altro e nessuno di essi posto in sottordine. In “No smoking” la trama ad incastro già collaudata felicemente in precedenza si infittisce maggiormente rispetto a “Smoking”, chiarendo ed ingarbugliando a seconda dei casi tutta una serie di situazioni tese a gettare nuova luce sui rapporti interpersonali tra i vari caratteri. Ed allo scopo di evitare cedimenti di sorta ed allentamenti vari della tensione narrativa l’autore preme con maggiore insistenza sul pedale del ritmo per conferire alla pellicola una maggiore spregiudicatezza d’assieme  creando zone d’ombra su cui versare a macchia d’olio tutta una serie di ponderati disinganni e dando sfogo a sentimenti repressi riconvertiti in stantie romanticherie.
Il film attraversa tutta una serie di registri narrativi, dall’ironico al drammatico, dal grottesco al patetico, dal tragico al sentimentale, con un ritmo talvolta incalzante, talvolta più dimesso, ma sempre adeguato alle situazioni del momento. Resnais non evoca nel presente caso gelide situazioni marienbadesche immerse in  astratti dedali labirintici o in disumani corridoi trasversali. Non obbliga i suoi due pupilli a cantare al ritmo di “parole, parole, parole”. Non tenta di suscitare immote sensazioni da atmosfere post-atomiche. Rinunciando ad enfatizzare fino alle estreme conseguenze il ruolo del caso alla maniera di Kieslowski stavolta si affida alla più disarmante semplicità narrativa per diluire le varie implicazioni dell’imponderabile. E da una piccola scintilla scagliata nel cuore di un’altrimenti inerte materia filmica fa partire una reazione a catena che ci coinvolge in totale per quasi cinque ore di fila, con quel suo caratteristico gusto transalpino del culto della parola mai fine a sé stessa, affidandosi ad un raccontare a metà strada tra l’estemporanea levigatezza di Rohmer e lo scaltrito neoromanticismo truffautiano con l’aggiunta di piccoli tocchi surreali dalle delicate spolverature retro d’un sempre attuale René Clair. Film d’una preziosità unica, come tutte le cose rare ed introvabili. Da consumarlo a furia di farlo girare nel lettore  ma attenti a non romperlo.

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