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Il commissario Pepe

Regia di Ettore Scola vedi scheda film

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FABIO1971

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La recensione su Il commissario Pepe

di FABIO1971
6 stelle

Ugo Facco De Lagarda, veneziano, storico ed economista, oltre che fine romanziere, diede alle stampe nel 1965 Il commissario Pepe, prototipo, insieme alle opere dei precursori Giorgio Scerbanenco e Ugo Moretti, dell'italica letteratura poliziesca che, mutuando da Gadda l'approccio disincantato al genere, simboleggiato dal suo malinconico ed imperturbabile protagonista, immergeva i paesaggi umani di una provincia sonnolenta e viziosa nelle storture del finto perbenismo, della corruzione, della crisi dei valori. Ettore Scola vi si accosta (dopo un biennio di fitta corrispondenza e consigli con lo stesso Facco De Lagarda) sottolineandone, con amarezza post-sessantottina, gli umori più caustici e contraddittori, trasfigurati in una vicenda di ordinaria amministrazione poliziesca: in seguito ad alcune lettere anonime spedite alla polizia, infatti, viene allertato il commissario Pepe, incaricato di indagare su un misterioso giro di prostituzione che coinvolgerebbe insospettabili esponenti della comunità cittadina. Ne emergerà una realtà ancora più imponente e spaventosa, tanto che proprio dall'alto giungerà l'ordine tassativo di insabbiare l'inchiesta, scatenando i conflitti di coscienza del commissario e costringendolo ad una drastica decisione. Girato tra Vicenza e Bassano del Grappa, Il commissario Pepe stempera lo squallore nell'ironia, lascia venire a galla verità orribili e segrete contrappuntando le indagini con il controcanto umoristico della fitta schiera di amene figurine che lo animano, dall'anziana cameriera di Tognazzi (irresistibili i loro siparietti casalinghi) allo squinternato "maudit" Parigi (Giuseppe Maffioli) e agli agenti del commissariato, con in testa uno scatenato Tano Cimarosa ("Perchè non metti la carta quando scrivi a macchina?", lo apostrofa Tognazzi in un'esilarante sequenza in cui Cimarosa finge di lavorare). Da un punto di vista strettamente cinematografico ancora qualcosa non funziona alla perfezione: ad esempio, la retata della prostitute ha toni eccessivamente sopra le righe, la manifestazione studentesca fuori dalla scuola (con in sottofondo la suggestiva ballata We'll Keep Trying cantata dalla Lydia MacDonald, scozzese e di madre italiana, che, trasferitasi nel Belpaese dopo la guerra, diverrà vocalist fidata di Piero Piccioni per le sue colonne sonore) ha movenze stereotipate, le sequenze oniriche che traducono visivamente i pensieri e le segrete intenzioni di Tognazzi mal si innestano nelle atmosfere crepuscolari e torbide della vicenda, la colonna sonora di Armando Trovajoli, impeccabile e suggestiva, viene utilizzata con troppa invadenza. Anche la satira e le punture di spillo alla provincia cattolica ma lussuriosa non affondano mai la stilettata decisiva per trasfigurarsi nella denuncia sociale del malcostume. Quello che funziona, però, è importante: anzi tutto, il solito, immenso Ugo Tognazzi. Poi, la conferma dei progressi, lenti ma costanti, dello Scola regista: in una carriera altalenante in cui ancora non aveva espresso una personalità d'autore ben riconoscibile (da Se permettete parliamo di donne a L'arcidiavolo), Il commissario Pepe (come anche il precedente Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l'amico misteriosamente scomparso in Africa?, seppur meno approfondito ed ancora immerso esclusivamente nei toni leggeri della commedia) lascia intravedere uno stile che inizia a padroneggiare i tempi del racconto, avvolgendo i suoi personaggi in una struttura drammaturgica che procede per accumulo, sempre in bilico sul filo della commedia di costume e puntuale nel cogliere le sfumature più incisive nella coralità dell'affresco. C'eravamo tanto amati e Una giornata particolare nascono qui, i successivi Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca), Permette? Rocco Papaleo, La più bella serata della mia vitaTrevico-Torino (viaggio nel Fiat-Nam), che li separano da questo Il commissario Pepe, giungeranno ad affinare maggiormente la lucidità dello sguardo, ma la vivacità dell'ispirazione appare già evidente ed articolata. È anche vero che il film gode abbondantemente del talento dello Scola sceneggiatore, che invece non aveva proprio niente da affinare, partecipando da quasi una ventina d'anni alla stesura dei copioni migliori (e fondamentali) della nostrana commedia (da Il sorpasso a I mostri, da Un americano a Roma a Io la conoscevo bene, solo per citarne alcuni) e che qui adatta senza stravolgimenti (con la consueta collaborazione del fidato Ruggero Maccari) il romanzo di Ugo Facco De Lagarda, incastonando l'intreccio giallo dell'inchiesta poliziesca nell'affresco ambientale, per lasciarne emergere le miserie e le meschinità in una grottesca mistura di dramma e commedia, vivacissima e sempre tagliente nella messa a fuoco dei suoi variopinti ed insospettabili bersagli.

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