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La stanza dello scirocco

Regia di Maurizio Sciarra vedi scheda film

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FABIO1971

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La recensione su La stanza dello scirocco

di FABIO1971
4 stelle

Il marchese di Acquafurata, fervente antifascista, torna in incognito da Parigi nella Sicilia del 1936 per impedire che la splendida villa di famiglia, lasciatagli in eredità dalla cugina, venga trasformata nella Casa del Fascio. Novello Mattia Pascal, si finge morto facendosi passare per il suo maggiordomo (perito in un incendio) e, per non rischiare l'esproprio del palazzo da parte del podestà, lo fa assegnare, grazie ad un falso testamento, ad una coppia di terremotati, Vincenzo e Rosalia. Quando, però, Vincenzo parte in guerra per l'Africa Orientale, tra la giovane Rosalia e il marchese scoppia la passione amorosa. La "stanza dello scirocco", nelle parole del Domenico Campana (ex-giornalista, regista televisivo e critico cinematografico) autore dell'omonimo romanzo, è il luogo "in cui trovare riparo e ricreazione nelle ore in cui il vento di sud-est dissecca, come dice l'antico poeta, la mente e le ginocchia": al riparo dall'afa opprimente, la stanza "è anche al riparo del tempo storico: per cui traslucide sovrapposizioni di epoche e di eventi vi si possono ricreare o, convergendo in un solo punto, dissolvervisi". Un'opera evocativa e dalle innumerevoli suggestioni, scelta dal pugliese Maurizio Sciarra, discepolo di Luigi Comencini, per il proprio esordio sul grande schermo. L'adattamento cinematografico curato dallo stesso regista insieme a Suso Cecchi D'Amico e al Salvatore Marcarelli ex-assistente alla regia per Pupi Avati, però, fallisce miseramente nel tentativo di ricrearne le atmosfere affascinanti, traducendole in una versione laccata e stereotipata in cui è l'ambientazione cartolinesca a regnare sovrana: la regia, infatti, si rivela anonima e manieristica, prevalentemente concentrata sulla direzione degli attori e prevedibile anche nelle progressioni drammaturgiche con cui è tratteggiata la passione adulterina tra i due amanti, oltre che discutibile nelle scelte stilistiche adottate: la Storia resta sempre sullo sfondo, cornice inanimata di un quadro patinato e didascalico, mentre la macchina da presa sceglie di indugiare con insistenza sulla sensualità del corpo della bella Tiziana Lodato, annacquando, così, l'incisività degli umori più vitali del romanzo e riconducendo la vicenda ad una misera e grossolana illustrazione dei tormenti della carne. Fotografia (Arnaldo Catinari) e paesaggi da esportazione ad infiocchettare il professionismo scolastico della messinscena, interpreti spaesati e poco coinvolgenti, resta nella memoria soltanto la splendida colonna sonora firmata da Eugenio Bennato (premiata con il Nastro d'argento insieme all'interpretazione, tutt'altro che eccezionale, di Giancarlo Giannini).

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