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1997: Fuga da New York

Regia di John Carpenter vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su 1997: Fuga da New York

di Gyx
10 stelle

È il 1997: New York, devastata dalla criminalità, viene trasformata dalle autorità in una enorme prigione dove rinchiudere tutti i delinquenti e dalla quale nessuno può fuggire. Qui dentro, in un quartiere dove domina “Il Duca” con la sua banda , cade l’aereo del presidente, dirottato dai prigionieri dell’isola di Manhattan, in segno di ribellione e con lo scopo di ottenere la libertà. Il capo della polizia (Lee Van Cleef) pensa allora di incaricare l’abile Jena Plissken (Kurt Russel), un eroe di guerra carico di condanne che, se riuscirà a riportare in salvo il presidente e i documenti segreti che porta con sé, avrà la fedina penale ripulita. Che Jena lo voglia o no, dovrà immergersi in questa avventura, perché gli hanno messo nel sangue una micro-bomba che gli farà esplodere le arterie se non tornerà entro 24 ore.

 

 

Carpenter dirige un film storico con al suo interno un personaggio indelebile: Jena Plissken. Questo anarchico eroe di guerra non ci sta per forza simpatico, ma risulta essere un personaggio talmente forte che lo adoriamo ed entriamo in empatia con lui, il suo menefreghismo e il suo disprezzo per il mondo ci conquistano. Questa specie di John Wayne (che non si prende sul serio come eroe e che non ha nessun interesse a salvare la patria, sia chiaro) è immerso da chi governa, in una New York sporca, lurida, caotica, devastata e cupa, che ricorda quella de “I guerrieri della notte” di Walter Hill. Il nostro anti-eroe, oltre a dover combattere contro il Duca e i suoi seguaci, deve fare i conti con il tempo: i tic tac del suo orologio creano la giusta suspense che ci fa tifare per lui. Ma il vero motivo per cui stiamo dalla sua parte è dovuto dal fatto che, in fondo, il suo nichilismo deriva dall'aver capito che il mondo fa schifo (o almeno quell’America dispotica-nazista che Carpenter ci mostra con la sua magnifica messa in scena) e che sia lui che i criminali all’interno della prigione hanno una moralità più alta di chi governa, delle autorità e del presidente stesso: non dimentichiamo che il personaggio interpretato da Kurt Russel non uccide gratuitamente, anzi a volte cerca addirittura di proteggere i più deboli, mentre il capo della polizia, se Jena non fosse tornato con il presidente e il nastro, lo avrebbe ucciso senza scrupoli (la vita di un uomo per una cassetta contenente dei segreti militari), per non parlare del presidente che alla prima occasione buona si vendica del Duca spedendolo all’altro mondo. Il quesito al quale il regista ci pone di fronte è quindi: meglio dentro o fuori questa prigione imperialista-capitalista? Se “il Maestro dell’Horror” voleva instillare nello spettatore il dubbio, lui ha sicuramente deciso da che parte (o meglio, da che parte della città) stare. In questa pellicola, oltre alla regia e allo stile riconoscibili di Carpenter (macchina da presa non eccessivamente mobile, fotografia con illuminazione minimalista per creare atmosfere cupe e colonna sonora realizzata da lui stesso tramite sintetizzatore), emerge la sua ideologia politica, nonché visione del mondo: odia di più il mondo capitalista e l’America reaganiana dell’epoca, dove a Manhattan prosperavano uomini d’affari, i cosiddetti “Yuppies” (che secondo la sua logica sono i veri delinquenti), dei reietti confinati nella prigione. Tutto questo è messo in luce ancora di più dallo storico (ed epico) finale, dove Jena Plissken, dopo aver riportato indietro sano e salvo il presidente, dopo avergli chiesto come si sentiva nei confronti di tutta la gente che ci ha rimesso la pelle per lui e per quella cassetta, e vedendo che non gliene fregava niente, consegna il nastro sbagliato (contenente il pezzo Jazz preferito del tassista), per poi strappare quello autentico, quello che avrebbe fatto vincere gli USA, ribaltando la concezione cinematografica dell’epoca dove l’America era buona e doveva vincere sempre. Questo capolavoro targato John Carpenter è un miscuglio (melodramma, azione, western, commedia, azione, horror, thriller, fantascienza), che riesce, tramite un modo di narrare, una messa in scena, un’ambientazione e dei personaggi fumettistici, sopra le righe e anche un po’ grotteschi (si pensi al tassista, ai seguaci del Duca, a Mente, così come agli stessi Duca e Jena Plissken, oppure al match tra Jena e il gigante e all’inseguimento in taxi), a fondere e gestire tutti questi generi in maniera magistrale, cosa che solamente un regista immenso poteva fare.

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