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Rapacità

Regia di Erich von Stroheim vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Rapacità

di ed wood
10 stelle

Potente tragedia californiana, pienamente apprezzabile anche nella versione sforbiciata dai produttori. Esasperando gli espedienti tipici del cinema classico griffithiano (linearità narrativa, realismo dell'ambientazione e idealizzazione dei caratteri, enfasi melodrammatica nella recitazione) e saltando a piè pari le tentazioni sperimentali provenienti dalle nascenti avanguardie europee, il grande Stroheim porta alle estreme conseguenze il determinismo naturalista di impronta ottocentesca, accompagnando la dissoluzione morale e materiale del trio di personaggi (tutti accuratamente definiti secondo una progressione psicologica ineluttabile) con uno sguardo netto, crudele, frontale, senza compromessi e senza tentennamenti, del tutto privo di retorica nel rappresentare lo squallore del contratto matrimoniale e la pelosità della fauna familiare. Limitando gli inevitabili richiami simbolisti (attinenti in particolar modo alla sfera zoologica) e sconfessando ogni eventuale ispirazione espressionista (considerata la terra di provenienza dell'autore), la rigorosa prosa di Stroheim squadra una piccola borghesia destinata ad autodistruggersi sotto il peso di molteplici corrosivi cancri: ultra-materialismo, egoismo, mercantilismo, mentalità possessiva, assenza di sentimenti disinteressati, giù fino ad un'avarizia così oltranzista da trasformarsi in vero e proprio "feticismo della moneta". Al di là delle geniali accensioni ipperrealiste (Trina narcotizzata tanto da sembrare una madonna in estasi mistica; il funerale sovrapposto al matrimonio; la pioggia torrenziale di Oakland; i piedini di Trina che schiacciano quelli di Mac), la vera cifra visionaria del film emerge nel memorabile finale, sul quale vale la pena di spendere qualche parola. Il finale inscena un vero e proprio paradosso western: il mito della Frontiera, che prevede un passaggio dallo stato brado a quello di diritto, viene sovvertito. I personaggi, inizialmente già benestanti e "civilizzati" (il film è ambientato nei primi del 900, quando il Far West era orami finito), regrediscono ad uno stato di bestialità e si scannano nello scenario arido, scabro e invivibile del deserto, circondati da serpi e bestie di ogni sorta. In questa geniale e polemica parte finale, Stroheim pone l'equazione Uomo = Animale, spogliando il genere umano di ogni velleità morale o civile di stampo progressista. E il danaro rimane lì, luccicante, tanto prezioso quanto futile, mero oggetto di un desiderio inappagabile; finisce l'acqua, nel cuore del deserto, restano solo due uomini e 5000 dollari in monete d'oro, niente di più inutile. Stroheim smaschera l'assurdità del sistema monetarista con una ferocia che non ammette scappatoie di alcun genere. L'ultima inquadratura (il deserto e niente più) parla chiaro. Pietra miliare, influente da Huston a Cimino, ancora oggi di straordinaria modernità espressiva, forse proprio perchè slegata dalle avanguardie dell'epoca, Greed rimane impressa anche per alcune sequenze apparentemente di poco conto, come quella in cui Mac scopre di non poter più esercitare la professione di dentista ed esprime la sua disperata collera allargando le braccia tanto da invadere l'inquadratura: un'immagine che non dimenticherò mai.

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