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Una domenica in campagna

Regia di Bertrand Tavernier vedi scheda film

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La recensione su Una domenica in campagna

di degoffro
8 stelle

Rec breve

Uno dei film oggi meno noti di Bertrand Tavernier è uno dei suoi più belli. Ha quasi del miracoloso riuscire a realizzare un'opera di un'ora e mezza su una classica domenica in campagna dal nonno (il film mantiene esattamente quello che promette il titolo), senza annoiare o risultare di maniera e letterari, anzi coinvolgendo ed emozionando con una messa in scena esemplare nella sua semplicità e purezza in cui si riscontrano evidenti influenze pittoriche, soprattutto nella splendida fotografia, quasi impressionista, di Bruno de Keyzer. La maestria di Tavernier sta proprio nell'illuminare di una luce inedita, radiosa, quasi magica, il quotidiano, rivelandone la sua bellezza e le sue suggestioni, nonostante la malinconia e la solitudine di fondo che attraversano i suoi personaggi, soprattutto l'anziano protagonista (alla figlia che parte dice amorevole "Resta giovane!"). Attori in stato di grazia per un musicale, delizioso ed intimo film sull'inesorabile trascorrere del tempo, sulle occasioni offerte dalla vita e non sempre sfruttate, sulla vecchiaia come età di rimpianti, nostalgie e bilanci, capace però di regalare ancora preziosi scampoli di felicità, sulla complessità e contraddittorietà dei legami affettivi e famigliari e sulla paura di perderli. Domenicale.

Voto: 8


Francia, 1912. Monsieur Ladmiral è un anziano vedovo, pittore di discreta fama, che vive con la sua governante Mercédès, "ultimo residuo dei normali rapporti con il gentil sesso", in una villa in campagna alle porte di Parigi. E' una bella domenica mattina di fine estate. Monsieur Ladmiral si sveglia di buon umore, canticchiando: suo figlio Gonzague, la nuora Marie-Thérése e i loro tre figli (due vivaci maschietti e una bambina) stanno per arrivare. Mercédès lo sollecita a prepararsi, ricordandogli che alla sua età non impiega più solo dieci minuti per raggiungere il figlio alla stazione. Ma le sue insistenze sono vane, perché come dice al suo titolare "a una certa età avete ragione solo voi!" Monsieur Ladmiral in effetti, con il passare degli anni, ha rallentato il suo passo ed incontra Gonzague e la sua famiglia per la strada. Il rapporto tra padre e figlio è cordiale ma anche piuttosto formale. Le consuete domande ("Come va l'ufficio?", "Come vanno questi figli, sei contento?"), le cortesie di rito ma un affetto che, da parte di Monsieur Ladmiral, appare quanto meno attenuato, distante. Gonzague avverte questo e ne soffre, "come un innamorato respinto, perché i dispiaceri si somigliano tutti". Soprattutto è consapevole che l'amore che il padre ha per sua sorella Irène è impareggiabile. Poteva fare il pittore come papà, "ma è stato meglio così: se avessi fatto fiasco avrei deluso papà. Se avessi avuto successo sarei stato un suo rivale!" Del resto agli occhi di Monsiuer Ladmiral forse il figlio è un uomo fin troppo serioso, borghese, rigido e compassato, fermo nelle sue idee e convinzioni. C'è a questo proposito un episodio divertente all'inizio del film: mentre si stanno avviando verso casa, uno dei figli di Gonzague dice al nonno che la sorellina ha vomitato in viaggio e Gonzague lo riprende sostenendo che "Non si deve dire quella parola: o rimettere o rigettare!". Di Gonzague la sorella Irène dice: "Gonzague scherza raramente e mai sulle faccende di cuore e di soldi!" In più occasioni Gonzague rivela la sua inflessibilità ed intransigenza, soprattutto nel rapporto con i figli, alle prese con le curiosità, gli scherzi e i dispetti tipici dell'età (lanciano una zolla di terra contro il vetro, tentano di dare fuoco ad una coccinella, bevono vino di nascosto, corrono per le stanze della casa, la piccola sale su un albero senza riuscire più a scenderne) e ripetutamente rimproverati dal padre che li richiama ad un atteggiamento più contegnoso ed educato. Monsieur Ladmiral inoltre è rimasto fortemente deluso, quasi sbigottito, dal matrimonio del figlio con una donna senza ambizioni, "e non si era ripreso da quello sgomento. Aveva concluso che Gonzague e Marie Thérèse si erano sposati per la semplice ragione che tutti si sposano così come tutti nascono e muoiono. Questa spiegazione poneva almeno fine a tutti gli interrogativi." Marie Thérèse è una donna assai religiosa e gentile, materna e discreta ma da quando si è sposata "assaporava giorno dopo giorno il piacere di non lavorare più. Suo marito e i suoi figli le davano in realtà più pensieri di quanti non ne avesse mai avuti durante gli anni in cui aveva fatto l'impiegata. Si era sistemata, o per meglio dire, adagiata in quella meravigliosa indolenza coniugale domestica delle mogli laboriose." L'arrivo inatteso ma assai gradito della vivace, brillante e spontanea figlia Irène, con il suo cane Caviale, ravviva la quiete un po’ noiosetta della casa. Irène si presenta con la sua nuova auto suscitando i commenti sarcastici del fratello ("Io ho voluto prima dei figli che l'automobile!", sostiene infatti Gonzague) ed è all'apparenza una donna solare, vivace e spensierata, non a caso sostiene di vivere la vita come l'ha sognata, adorata dai nipotini così come dal padre. Irène "credeva nella chiromanzia così come credeva nei grandi amori, nelle eroine dei romanzi e nell'influenza degli astri sul destino degli esseri viventi. Aveva deciso di vivere sola, non tanto libera, sola!" Irène è però intimamente preoccupata: una telefonata la tormenta e le mette addosso una certa inquietudine. Quando riesce finalmente a parlare con la persona cercata, probabilmente il compagno di cui non ha mai detto nulla al padre, scappa agitata e sconvolta, per tornare di corsa a Parigi, lasciando spiazzato ed estremamente dispiaciuto Monsieur Ladmiral, tanto che l'uomo non si accorge nemmeno che la nipotina gli mostra il disegno fatto con tanto amore, procurando l'ennesima amarezza al figlio (episodio che in sostanza verrà ripreso anche nel gemellare “Daddy nostalgie”). E' sera. Gonzague e la sua famiglia non si fermano per cena e ripartono per Parigi. Monsieur Ladmiral rincasa mentre il sole tramonta, non prima di avere rimproverato Mercédès perché chiude le persiane prima che faccia buio. Rientra nel suo studio e osserva un suo quadro, in cui ha raffigurato per l'ennesima volta un angolo di quella stanza, dipinti mai apprezzati fino in fondo dalla figlia che ha sempre rimproverato al padre di essersi adagiato su soggetti scontati ed accademici, senza seguire il suo spirito libero. Quindi prende una tela bianca, si siede sul divano ed osserva la tela con sguardo pensieroso ma sereno. Uno dei film oggi meno noti di Bertrand Tavernier è uno dei suoi più belli. Non a caso all'epoca della sua presentazione, in concorso al Festival di Cannes, la giuria presieduta da Dirk Bogarde, poi splendido protagonista per il regista in "Daddy Nostalgie", ha attribuito all'opera il premio per la migliore regia. Riconoscimento che può sorprendere, ma decisamente meritato. Può sorprendere perché la regia di Tavernier è quasi impercettibile, e proprio in questo sta la sua incredibile grandezza. Ha quasi del miracoloso riuscire a realizzare un film di un'ora e mezza su una classica domenica in campagna dal nonno (il film mantiene esattamente quello che promette il titolo), senza annoiare o risultare di maniera e letterari, anzi coinvolgendo ed emozionando con una messa in scena esemplare nella sua semplicità e purezza in cui si riscontrano evidenti influenze pittoriche, soprattutto nella splendida fotografia, quasi impressionista, di Bruno de Keyzer. Tavernier che ha scritto la sceneggiatura con la moglie Colo, partendo dal romanzo breve "Monsieur Ladmiral va bientôt mourir" di Pierre Bost sa benissimo che in opere di questo genere in cui, a livello narrativo, sono necessariamente poche le sorprese, fondamentale diventa lo studio e l'approfondimento dei personaggi. E il film infatti si distingue per la lodevole capacità di creare caratteri credibili ed efficaci, profondamente umani e sinceri anche e soprattutto nei loro limiti e debolezze. Il resto lo fa la mirabile attenzione per gesti, oggetti, azioni, sguardi, parole, silenzi, incomprensioni, magari all'apparenza insignificanti ma valorizzati con rara poesia e sensibilità proprio nel loro aspetto ordinario e rituale. Dal preparare la crostata con la governante al lavarsi le mani prima di mangiare, dall'andare in giro sulle spalle del nonno, al chiacchierare sotto al gazebo, dal pranzare tutti insieme a tavola gustando un ottimo cappone alla nanna del pomeriggio per la piccola o il pisolino per il nonno, dai giochi vivaci dei ragazzi ad un giro in auto al lago, da una polka con la figlia fino alle piccole confidenze tra coniugi e tra padre e figlia. La maestria di Tavernier sta proprio nell'illuminare di una luce inedita, radiosa, quasi magica, il quotidiano, rivelandone la sua bellezza e le sue suggestioni, nonostante la malinconia e la solitudine di fondo che attraversano i suoi personaggi, soprattutto l'anziano protagonista (alla figlia che parte dice amorevole "Resta giovane!"), ben consapevole della vita che fugge ma altrettanto certo, come dice a Irène, di "andarsene senza rimpianti perché aveva visto, compreso, amato ciò che desiderava". Attori in stato di grazia (da segnalare almeno la solare Sabine Azéma, poi complice del regista anche in "La vita e niente altro") per un musicale, delizioso ed intimo film sull'inesorabile trascorrere del tempo, sulle occasioni offerte dalla vita e non sempre sfruttate, sulla vecchiaia come età di rimpianti, nostalgie e bilanci, capace però di regalare ancora preziosi scampoli di felicità, sulla complessità e contraddittorietà dei legami affettivi e famigliari e sulla paura di perderli (in una scena Gonzague immagina la morte dell'anziano padre, Irène nel leggere la mano della nipotina intuisce che morirà giovane). Un piccolo e sublime capolavoro di finezza, armonia, misura, sobrietà ed intelligenza. 8 nomination ai César (regia, montaggio, film, miglior attore protagonista Louis Ducreux, miglior attore non protagonista Michel Aumont, vittorie per Sabine Azéma, la fotografia e la sceneggiatura). Nomination ai Golden Globes per il miglior film straniero, ma la vittoria andò all'inglese "Passaggio in India" di David Lean. Doppiaggio italiano a cura di Marco Tullio Giordana.

Voto: 8

 

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