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Auguri professore

Regia di Riccardo Milani vedi scheda film

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La recensione su Auguri professore

di LorCio
7 stelle

Non è, come potrebbe superficialmente apparire, un sequel de La scuola. Di quel gioiello diretto da Daniele Luchetti si conservano il trio di sceneggiatori (Stefano Rulli e Sandro Petraglia più Domenico Starnone), la fonte letteraria (lo stesso Starnone di Solo se interrogati) e il protagonista principale. E a differenza del film precedente, questo film dall’ironico titolo Auguri professore pone al centro della scena un personaggio rassegnato e in crisi, non idealista ed ottimista come Giovanni Vivaldi. Vincenzo Lipari è un professore di periferia che non trova più stimoli neanche per formulare un piano didattico. E la crisi intellettuale raggiunge il suo picco quando una sua ex allieva entra come docente supplente di biologia, facendo riaffiorare in lui sensazioni perdute ed accantonate col tempo. E sempre per differenziarlo dal Vivaldi, a Lipari non interessa che i propri alunni siano più colti od illuminati: gli basta che siano civili e democratici. Anche perché il nostro è in mezzo al sindacato e nei primi anni di insegnamento (quando aveva tra i banchi di scuola quella che poi diventerà sua collega) separava in due la classe, facendo accomodare a sinistra i figli degli operai e a destra i figli dei professionisti.

 

Correttamente diretto dall’esordiente Riccardo Milani, Auguri professore è un simpatico ritratto di uomo post-sessantotttino in balia della crisi più sconfortante e rassegnata. Procede a flashback, per riepilogare la propria esperienza scolastica dalle elementari al liceo, in contatto con docenti frustrati e terribili, svagati e distratti (come diceva Mortillaro nel già citato La scuola: “Qualcuno avrebbe dovuto avvisarmi, e io non ci sarei proprio andato a scuola! Avrei lasciato perdere! E invece nessuno mi ha detto niente, e mi hanno fatto prigioniero a sei anni, una creatura. E non mi hanno rilasciato più!”). Al fine di creare l’atmosfera giusta per descriverne la fase di stallo, emblematiche risultano la prima scena allo sfasciacarrozze, sorta di “cimitero delle automobili” (dove come in C’eravamo tanto amati c’è l’incontro con un defunto, anche se solo attraverso un quadernetto di memorie) e quando egli riesce dall’armadietto che il preside ha deciso di buttare, dove lui si era nascosto ed aveva ascoltato una conversazione tra il dirigente e la professoressa sua ex studentessa.

 

Ecco, un punto in comune con La scuola sta nel tema di fondo: nella preziosità dell’attenzione, dello stare sempre vigile su ciò che ci accade intorno. Implacabile analisi dei problemi più impietosi della scuola italiana (mancanza di voglia di imparare, avvilimento dei docenti, disinteresse delle famiglie, precarietà delle infrastrutture, abbandono degli studi), è un malinconico apologo su una formazione sentimentale (nonostante tutto, Lipari ama la scuola e la sua funzione sociale). I comprimari sono un po’ deboli, anche perché il disegno del protagonista principale è finemente raffigurato. Infatti, molto del film lo fa quel gran talento di Silvio Orlando, straordinario nel rappresentare un professore dalle aspirazioni giovanili troncate col tempo, buffo nel ritrattino gustoso ed agrodolce del suo Lipari, sbadato ed “allibito” figlio del suo tempo. La seconda parte scorre meglio della prima, dove l’innesto di passato e presente a volte stenta a centrare il bersaglio. Poi si stabilizza, e fila che è una bellezza.

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