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I magliari

Regia di Francesco Rosi vedi scheda film

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La recensione su I magliari

di Decks
6 stelle

Al suo secondo film Francesco Rosi è ancora agli albori della sua carriera; lontano dai film inchiesta che lo renderanno famoso ("Salvatore Giuliano", "Uomini Contro") egli compie un passo avanti, seppur limitato, dalla precedente pellicola. Un risultato sì, sufficiente, ma che non regge il confronto con altre opere future del regista napoletano.

 

Non a caso va sottolineata la provenienza di Rosi: in questo film i protagonisti sono un romano e un toscano, verissimo; ma l'attenzione si focalizza sovente su un gruppo di napoletani, che nonostante siano truffatori, mantengono una certa simpatia e calorosità tipica del nostro paese.

Tutto grazie a delle sceneggiature, che divertono (come nel caso sopracitato) ma sono un po' povere di stile e di significato: a volte stupiscono per la forma d'espressione con cui vengono messe in atto; altre volte sono tediose e perfettamente eliminabili, rendendo l'intera opera una specie di montagna russa, dove i punti più alti sono toccati dalle sequenze in cui è presente Alberto Sordi. Non a caso; Rosi ringraziò apertamente l'attore, per aver colto magnificamente sia l'aspetto umoristico e drammatico del magliaro: Sordi porta il suo personaggio oltre la scrittura, conferendogli quei modi e quei movimenti che chiunque riconoscerà tipici della recitazione dell'attore romano, eclissando addirittura un buon attore come Renato Salvatori: che trovatisi con un personaggio scarno, spalla nel primo tempo e povero di intreccio nel secondo, si muove spaesato senza alcun riferimento se non il suo maestro Totonno/Alberto, che da solo riesce a far rivalutare intere scene.

Rosi però effettua una ricostruzione ambientale ineccepebile ed estremamente accurata: Hannover e Amburgo sono esattamente ciò che qualunque italiano si aspetta e vede: città incomprensibili, sia nell'ottica dello scintillante miracolo tedesco del dopoguerra, sia nella difficile lingua e nei differenti comportamenti; non per niente chi si occupa della fotografia è Gianni Di Venanzo, un vero maestro, giustamente premiato al nastro d'argento per aver creato immagini di indubbia poesia, quali l'ultima scena al porto.

 

Purtroppo gli aspetti tecnici del registico e del sonoro non sono altrettanto perfetti: la cinepresa di Rosi si muove ancora titubante, rimanendo ai limiti della scena, per nulla protagonista e a volte eccessivamente statica, limitandosi a lasciare sfogare le doti recitative dei suoi attori sul set.

Il secondo sorprende che non sia così apprezzabile, visto che è firmato da un maestro quale Piero Piccioni, ma la motivazione va ricercata nella trama che Rosi inscena nella sua pellicola: Piccioni realizza una musica da vera commedia all'italiana, che nella prima parte funziona per le tematiche e l'atmosfera che si respira, ma nella seconda parte, Rosi dà vita più ad un gangster movie, che ad una commedia o un drammatico, non tralasciando nè risse nè sparatorie; da un inizio interessante, che trattava di una realtà sociale tuttora attuale, cioè quella degli italiani all'estero: popolo volto a truffe grazie alla nostra parlantina facile, desiderosi del successo più che della legalità o della cordialità bonaria ostentata dai tedeschi. Nel secondo tempo Rosi perde tutto questo, la trama si assottiglia, e si riduce ad una semplice storia d'amore con quasi nessun colpo di scena, più Alberto Sordi, boss malavitoso dedito a minacce e prostitute, tanto che citando uno degli attori campani "Questa Amburgo pare New York".

 

Non è uno dei film migliori di Rosi, ma non è neppure da buttare questa sua seconda opera: denota un grosso impegno da parte del regista, che vuole mettersi in gioco (e lo farà) ma purtroppo, dopo un inizio interessante, precipita nella vuotezza e nel già visto.

Ottima comunque la fotografia e l'interpretazione di Sordi, che lasciano il segno: una per realismo; uno per essere una perfetta immagine storica dell'italiano immigrato anni '50.

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