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I Cormorani

Regia di Fabio Bobbio vedi scheda film

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La recensione su I Cormorani

di LorCio
8 stelle

Matteo e Samuele hanno appena fatto un bagno, si stendono sul bordo delle cisterne che raccolgono l’acqua del torrente, giocano a darsi fastidio schizzandosi l’acqua, quasi non parlano; e all’improvviso Matteo bagna la telecamera e, con gli occhi del ragazzino colto di sorpresa, in un attimo passa dallo stupore alla normalità. È un momento di svelamento, in cui lo sguardo del protagonista fissa quello del suo regista, accidentale demiurgo di una storia che sembra appartenere a chi abita lo schermo senza un intervento esterno. I Cormorani si fonda su un’illusione di realtà che si afferma attraverso i codici del documentario; eppure mai rinuncia alla finzione narrativa.

 

Samuele Bogni, Matteo Turri

I Cormorani (2016): Samuele Bogni, Matteo Turri

 

È una coming of age story imperniata sull’inesorabilità del tempo, in cui gli ultimi sprazzi d’infanzia non si scontrano con i primi tremori dell’adolescenza nell’attesa di un evento capitale. Racconta invece un’evoluzione che scorre come un fiume: quieta ma incostante. I ragazzini, dodicenni dai capelli lunghi, che parlano una lingua strascicata, spesso ostica a causa di un sonoro (volontariamente?) sporco, corrono nei boschi, si perdono tra le piantagioni, trascorrono le serate alla fiera del paese. E le famiglie semplicemente non sono in campo, come se il mondo fosse in mano ai ragazzini. Anche a coloro che, nel frangente più debitore ad un immaginario cinematografico (per esempio Stand by me), mettono in pericolo i due eroi, prima accerchiandoli come in un western e poi inseguendoli a perdifiato in un’avventura senza tempo.

 

Samuele Bogni, Matteo Turri

I Cormorani (2016): Samuele Bogni, Matteo Turri

 

Una porzione di vita che accarezza l’ipotesi di quella cosa che non viene ancora chiamata sesso (le chiacchiere sugli amoretti scolastici e sulla prostituta della strada, lo striptease in salotto), la virilità è espressa dalla forza fisica (i tronchi da spaccare, il pungiball al luna park) e l’amicizia non ha bisogno di parafrasi al di là di ciò che avviene nella sua naturalezza. Al suo debutto, qui felicemente protetto dallo spirito del primo Truffaut, Fabio Bobbio simula di immolarsi ai due piccoli e meravigliosi attori; ma in realtà non perde mai il controllo. Magari per qualche rilevante implicazione autobiografica (il contesto ambientale è preciso ed inconsueto), sa raccontare il passaggio esistenziale con tenerezza e distacco, con una libertà d’esecuzione che stimola lo spettatore ad abbandonarsi in una complessa quanto semplice tessitura narrativa. Orgogliosamente indipendente, sta avendo una distribuzione lenta e faticosa ma che merita un’affettuosa attenzione.

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