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Maya

Regia di Mia Hansen-Løve vedi scheda film

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La recensione su Maya

di alan smithee
6 stelle

CINEMA OLTRECONFINE

Gabriel è uno stimato reporter di guerra trentenne che, reduce da una drammatica detenzione in ostaggio in un paese mediorientale che potrebbe essere la Siria, sceglie di prendersi qualche mese di pausa e riflessione per riprendersi dallo shock fisico e morale causato dal sequestro. pertanto l'uomo trova il suo paradiso atteso nello stato indiano ed ex colonia portoghese di Goa, anche noto come regno ideale del mondo hippie e patria del fumo: il luogo ove il ragazzo visse nell'infanzia prima che la madre scappasse con un amante, abbandonando il marito e lui ancora bambino, e per questo ricacciandoli nella natia Francia.

In loco incontra una famiglia amica della sua famiglia, e ha modo di fare conoscenza con Maya, all'epoca pressoché neonata, ora ragazza bellissima e sensuale che con la sua presenza rasserenante, tenta di dare una svolta ai turbamenti d'animo che Gabriel si porta appresso, sulle spalle muscolose ma indebolite da una magrezza causata dagli stenti della prigionia.

Il ritorno di Mia Hansen-Love, la brava regista francese di Eden e di Le cose che verranno, avviene all'insegna dell'intimismo e della introspezione, lungo un complesso viaggio dei sensi che si mischia ai colori e alle tradizioni di una località esotica che assomiglia ad un paradiso terreno lontanissimo dai nostri ritmi di vita occidentali, ma tutto sommato possibile.

Il tocco della Hansen-Love, nella vita consorte di Olivier Assayas, è delicato, ma anche deciso, soprattutto come in questo caso in cui si tratta di sondare in profondità la stratificazione di incubi di cui si impregna il corpo e soprattutto la mente umana, seviziata dall'incubo di una violenza senza rimedio.

La visione estatica di questo paradiso in terra si presta a segnare le tappe di una presa di coscienza e consapevolezza che vanno al di là della carnalità, ma che si fondano su una attrazione fisica che ha effetti dirompenti tra i due protagonisti, e trova il modo di risultare illuminante sugli spettatori.

Il film, forse sin troppo estatico e manierato, riunisce per la terza volta consecutiva la regista con il giovane attore Roman Kolinka (figlio della compianta Marie Trintignant, e quindi nipote del grande Jean-Louis), qui tuttavia un po' troppo assorto da una presa di coscienza che lo lascia come intorpidito, attonito, come spaesato, se non proprio vagamente inebetito.

Pertanto se i dialoghi e, in generale, la direzione degli attori lascia un po' troppo a desiderare, soprattutto rispetto alle due precedenti prove della regista, va altresì riconosciuto al film di saper valorizzare la determinazione e la capacità di captare la forza intrinseca ma di fatto luminosa e rasserenante dei luoghi esotici e paradisiaci, in un'opera valorizzata e resa più pregnante da un lavoro di montaggio e di fotografia notevolmente professionali e convincenti.

 

 

 

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