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Magnificat

Regia di Pupi Avati vedi scheda film

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La recensione su Magnificat

di maurizio73
8 stelle

Attorno all'anno mille, nelle terre su cui si estende il dominio del Signore di Malfole, alcuni personaggi intraprendono un loro percorso umano e spirituale che li conduce, per vie diverse, ad una rinnovata consapevolezza sul significato della vita attraverso una personale esperienza con il dolore e con la morte.
Traendo spunto dalla invocazione mariana contenuta nel primo capitolo del Vangelo di Luca ('Magnificat anima mea Dominum') Avati evoca, grazie all'uso della voce narrante e ad un inusitato rigore filologico, il tempo di una intensa spiritualità medievale entro cui si iscrivono le vicende di personaggi che per status sociale e condizioni materiali, rappresentano a loro modo le diverse e  provvidenziali declinazioni nella continua ricerca di un significato profondo alle miserie ed alla brutalità dell'esistenza; il senso di una continuità umana che traguardi, tra ritualità religiosa e retaggi pagani, un altrove di speranza e di redenzione al di là del termine materiale delle creature mortali.
Costruito come una collezione di 'fioretti' che si intersecano sullo sfondo di un ben definito paesaggio geografico e storico, è un suggestivo e minimale affresco sulle condizioni di vita di una piccola comunità italica alle soglie del nuovo millennio, soggiogata alle imposizioni di una dura legge feudale e percorsa dal fremito di una vibrante tensione spirituale, tra gli obblighi di una tradizione arcaica e brutale e le delicate sfumature di una struggente affettività familiare. Ricorrendo ad una soprprendente proliferazione delle immagini e dei paesaggi, dei personaggi e delle situazioni, dei canoni e delle regole dettate da una consolidata tradizione letteraria, Avati propone un modello esemplare di cinema 'morale' dove forma e sostanza si intrecciano nella preziosa trama di un magifico ordito che ci narra vicende di uomini che, in un'epoca di oscurantismo e barbarie, intraprendono un cammino di speranza verso le soglie di una ineffabile trascendenza, alla ricerca di un senso più alto alla miseria e all'ingiustizia di una vita mortale. Stabilendo le coordinate storiche e geografiche delle vicende narrate, l'autore propone una singolare via crucis nella settimana santa dell'anno 926 quale mistica transumanza di genti diverse (per estrazione, condizione sociale e destino personale) verso il monastero della Visitazione, punto di arrivo simbolico di una mistica comunione tra Dio e l'uomo e con questo  sublimando le molteplici esperienze di una ricerca interiore (il signore di Melfole vi viene sepolto dopo aver fatto testamento, la gravida concubina dell'imperatore vi partorisce una femmina, una giovane oblata inizia una vita di clausura abbandonando gli affetti lontani). Quale struggente nostalgia del luogo natio colombe di legno svettanti su lunghe pertiche sono rivolte verso casa. Preziosa fotografia di Cesare Bastelli. Tra solennità narrativa, attendibilità storica e intenso lirismo sembra Olmi ma si tratta di Avati. Presentato in concorso al 46º Festival di Cannes è considerata, non a torto, l'opera migliore del regista emiliano.

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