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Burro

Regia di José Maria Sanchez vedi scheda film

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La recensione su Burro

di scapigliato
8 stelle

Il mondo del cinema in soldoni si divide in due: film narrativi e film visivi. Nei primi è importante l'intreccio, il montaggio narrativo, i tre atti (impostazione, sviluppo, risoluzione ovvero prologo, nodo, epilogo); i secondi invece prediligono il montaggio intellettuale ed evocativo, non insistono sulla trama ma sull'emozione e la suggestione delle immagini combinate tra loro, per non dire la messa in scena e la recitazione. Il film di Sanchez con Pozzetto non deve far capire nulla, e più cerchiamo spiegazioni dal cinema tutto, meno lo capiamo come arte e più ci allontaniamo dal Cinema come esperienza "altra". Questo "Burro" è il capolavoro stralunato di Renato Pozzetto. Se titoli come "Il Ragazzo di Campagna" e "E' Arrivato Mio Fratello" sono la sintesi e insieme il manifesto della sua comicità e della sua dialettica tra nonsense e pragmatismo contadino di cui lui è la doppia faccia (l'altra è il poeta incarnato pure dall'amico Cochi), "Burro" è la maturazione del Pozzetto-maschera drammatica. Forse è sacrilego accostare l'accoppiata "Burro"-Pozzetto a quella "Uccellacci Uccellini"-Totò, ma in entrambi i casi l'alieno, il diverso, il non allineato, entrano nell'universo drammatico portando con sè la propria cifra comica, surreale e perchè no, anche onirica. Là c'era Pasolini, qui c'è Sanchez, che oggi è venuto a mancare proprio prima di collaborare con il Renato in "Un Amore su Misura", che per certi versi avrebbe ricalcato l'intenzione surreale e indefinibile di "Burro".
In questo film dell'89, che segue il successo di "Da Grande" Pozzetto è sulla strada per realizzare davvero un nuovo cinema paradiso, purtroppo non sarà così. Rimane indubbio però che l'attore è e rimane una maschera popolare tutta da (ri)scoprire. In "Burro", a dar man forte alla presenza di un Pozzetto lunare come in poche occasioni, è anche la sceneggiatura del grande Tonino Guerra, la presenza di Manzotti alla produzione e di Bacalov alle musiche. E po diciamolo, e non perchè non è più tra noi, ma José Maria Sanchez ha fatto un lavoro notevole. Ogni inquadratura sembra l'abbozzo per una poesia che non decollerà mai, amareggiata com'è dalla banalità del reale che vede intorno. E' un film malinconico, struggente ma distante dalla commozione ricattatoria dei film retorici italiani come, e soprattutto, americani. E' un film che nella prospettiva di una disarticolazione del tempo e dei luoghi progetta la sua uscita dal reale per entrare in uno spazio onirico, di sogno, che è dentro alla memoria e al desiderio di ognuno di noi. Memoria e Desiderio come termini temporali e spaziali che fuggono le regole spazio-temporali imposte dalla civiltà per diventare il percorso esistenziale di ognuno di noi, o il suo paradigma. Il sogno è l'altro termine con cui il regista si confronta, e con cui chiaramente anche Pozzetto fa i conti. Il sogno permette a Burro (che in spagnolo vuol dire appunto asino) di entrare in contatto con la magia dell'esistenza, cosa che i "cittadini" non riescono a fare. Si innamora di una diva del cinema (e di riflesso si innamora del Cinema come emozione più che come strumento, e questo è importante come mise en abyme), e per vedere un suo film si mette l'abito della festa. Intreccia la sua fantasia con il suo passato e trova se stesso: geniale. Sogna il padre e lo ritrova in un cane. Sogna il sesso e lo trova in una ragazza che accarezza un gatto, il suo gatto. Come non vedere proprio in quest'ultima scena il parallelo riuscitissimo tra sogno ed erotismo. Non solo l'erotismo come sogno, ma l'erotismo stesso come una dimensione profonda che rivela noi stessi. C'è chi ci propina ignorantemente il sesso come peccato o come pura e semplice riproduzione. Invece è anche molto altro e Sanchez lo rappresenta liricamente senza offendere i palati deboli. Ma il momento più commovente, anche se non ricattatorio grazie al distacco della regia e alla bravura di Pozzetto, è il finale. Quel figlio che gioca con il padre-cane sulla spiaggia per diventare poi lui stesso un figlio-cane. Il padre, che poi non è davvero il padre naturale, è stato anche lui un reietto, un diverso, un "buttato lì". Trova pace da morto, e soprattutto da cane. Burro, anch'egli diverso e rigettato dal sistema, trova se stesso (Desiderio) e il padre (Memoria) diventando anche lui cane, ovvero fuggende dalla cricca dei "cittadini". Che succeda davvero o no, non ci interessa. Fatto è che così è. Un capolavoro.

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